Un Paese impoverito, abitato da gente meno ricca.

3 Giugno 2020
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giugno 2020

di Danilo De Masi

Una vecchia battuta inglese, definisce così i due Paesi, uguali per popolazione ed estensione territoriale: ” l’Inghilterra è un Paese ricco abitato da gente povera, mentre l’Italia è un Paese povero abitato da gente ricca “.

La scherzosa affermazione, coniata diversi decenni addietro, è tutt’altro che priva di seri contenuti socio-economici. L’Inghilterra è stata infatti uno dei primi Paesi ad investire su consumi sociali e servizi pubblici. È col nome del Ministro del Lavoro, Lord William Beveridge[1], che vennero varati il “Welfare state” e la Sanità Pubblica (durante l’ultima guerra) mentre l’Italia – quando ancora non era uno stato unitario – ha sempre privilegiato i consumi (e gli sprechi) individuali, al motto di “Pizza e spettacoli” per tutti (ovviamente “a gratis”) come raccomandava[2] già nel primo secolo d.C. Decimo Giunio Giovenale [3] ai Governanti dell’epoca: la distanza dai futuri, odierni, “Paesi frugali” era già marcata.

Cavour, dopo aver proclamato la nascita dell’Italia Unita nel giorno del compleanno di Vittorio Emanuele II (postergandone gli effetti al 17 marzo di quel 1861), fu visitato – sul letto di morte – dal Re ed esclamò: “appena mi riprendo, facciamo gli Asili pubblici – almeno a Torino – come li abbiamo visti a Londra”. Il riferimento di Cavour era al viaggio compiuto a Londra insieme al Re per suggellare l’alleanza che prevedeva l’enorme finanziamento della Banca Rothschild allo stato sardo-piemontese per realizzare la “Galleria” nelle Alpi che avrebbe aperto la strada ferrata della futura “Londra-Brindisi”, via Lione-Torino-Piacenza-Modena, Ancona.

Durante la visita di Vittorio Emanuele II e Cavour, la stampa inglese aveva titolato “Tutti gli Ebrei di Londra sono con il Piemonte” (sottinteso … contro l’Austria): il prestito finanziava ufficialmente la galleria ma segretamente anche la Terza guerra d’Indipendenza contro l’Austria che portò alla presa di Milano, dove entrarono, a cavallo affiancati, Vittorio Emanuele II e Napoleone III (che riposa nell’Abbazia di San Michele a Farnborough vicino a Londra …. e non in Francia, che ancora gli rimprovera l’aiuto – alla futura Italia – nella battaglia di Solferino).

Per vari passaggi, il Ministro del Tesoro Quintino Sella portò l’Italia al “Pareggio del Bilancio” e gradatamente si arrivò ad una rete ferroviaria degna dei Paesi più avanzati. In questo dopoguerra fece altrettanto la coppia Guido Carli ed Emilio Colombo. Oggi è già tanto che la scrivania di Quintino Sella (in un Ministero che da anni non riesce a completare una manutenzione della facciata e tiene i pannelli sotto il portone di ingresso in Via XX Settembre) non sia stata sostituita da una “Aiazzone de luxe” acquistata con regolare appalto consip.

In quella che viene impropriamente chiamata “seconda repubblica” (l’attuale presunta terza, non è ancora riuscita a fare peggio della precedente) si sono addirittura ridotti i chilometri di strade ferrate, è diminuita la frequenza dei bambini nelle scuole, l’analfabetismo coinvolge anche i laureati. Siamo ormai Un Paese impoverito, abitato da gente meno ricca e da una quantità impressionante di veri poveri.

Come recita una vecchia canzone di Luca Carboni, La Mia Città: “non c’è più la povertà (non si vede) perché è tutta coperta dalla pubblicità”.

Nessun Gruppo industriale estero investe in Italia da anni: se lo fa, si attiene alla regola degli Ebrei negli Stati ove erano perseguitati o limitati nei diritti: “mestieri leggeri” (a Roma il commercio dei “cenci”) in modo da potersene andare senza perdere o farsi sequestrare grandi valori di immobili ed impianti.

Nei piani d’impresa degli Operatori esteri che “investono” in Italia è sempre ipotizzato l’onere dell’abbandono (ovvero lasciandosi sequestrare i beni abbandonati) in caso di impossibilità a proseguire nel business a condizioni ragionevoli. Ovvero senza quel taglieggiamento che ha fatto allontanare dall’Italia tanti Gruppi Industriali e finanziari esteri.

Non è solo il “costo del lavoro” che induce a spostare parte della produzione in Paesi esteri. La FIAT-Iveco fa produrre le carrozzerie dei pullman in Paesi dell’Est e poi monta i motori in Italia. L’unico aereo (ultimo FIAT “G”) da trasporto prodotto in Italia in Joint con la Francia, produce carlinga ed avionica in Italia (la carrozzeria) e monta i motori francesi a Tolone. La Francia dopo aver promesso di “accollarsi” l’Alitalia (costo pari …. alla Battaglia di Solferino) ha in realtà solo indotto la compagnia italiana a sostituire i Boeing con gli Airbus francesi.

Lasciando il settore industriale e passando ai servizi turistici e finanziari (ricordiamo una grande sede “Americana” in Piazza di Spagna a Roma, in Piazza San Marco a Venezia e tante altre, riferimento di turisti non solo Americani per i Travel Cheques già alla fine della guerra): si può notare come i grandi Gestori internazionali prevedono un esercizio solo parziale nel Bel Paese. Marchi di grande prestigio internazionale hanno chiuso silenziosamente sedi ed uffici in Italia, a Roma, limitandosi all’assistenza telefonica, da parte di operatori anche italiani, magari “seduti” nel Regno Unito [4] od in Germania, non solo nei paesi dell’Est. La corrispondenza cartacea, agli Italiani, arriva dall’estero … per evitare tentazioni giudiziarie o fiscali da parte dei “nostri” monopolisti nazionali.

[1] William Beveridge, Barone, Deputato liberale alla Camera dei Comuni e Rettore della London Scool of Economics, prima di essere “nominato” alla Camera dei Lord dal padre di Elisabetta II.

[2] Panem et circenses, scriveva ne Le Satire, I° secolo d.C., Decimo Giunio Giovenale, nativo di Aquino, Frosinone, tra il 50 ed il 60 d. C.

[3] Giovenale: visse ed operò sotto i due Vespasiani (padre e figlio Tito) e vide la costruzione del Colosseo, iniziata nel 72.

[4] Sulla Via Tuscolana, a Roma di fianco a Cinecittà, era stata edificata la sede per l’Europa e l’Est dell’American Express: il palazzo oggi ospita il Gruppo Buffetti ed il personale è stato trasferito a Brighton, sulla Manica.

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