INTERVISTA A CLAUDIO CANGIALOSI, BALLERINO E PITTORE AD ANVERSA: DICO GRAZIE A MIO PADRE E A MIO NONNO.

13 Ottobre 2017
By
Giovanni Zambito
Claudio Cangialosi

Claudio Cangialosi

All’Opera di Gent, è attualmente in scena un trittico di balletto incentrato sul tema del salvataggio: la terza parte s’intitola “The Heart of August” con le coreografie di Édouard Lock. Fra i ballerini solisti c’è il giovane Claudio Cangialosi di Borgetto (Palermo) che spiega il significato della danza eseguita. “Noi non abbiamo avute moltissime informazioni – ammette – però di mio ho dato un’interpretazione sul fatto che io sono Orfeo e la mia partner era Euridice. Gli altri personaggi possono rappresentare una copia di Euridice, vari stati d’animo di lei e Orfeo cerca di trovarla in tutti i modi fino a quando lei va all’Inferno e lui cerca di salvarla”.

Puoi riassumere le tappe e i luoghi più importanti della tua carriera?
Ho cominciato a 15 anni alla Scala di Milano; mi sono diplomato a 19 anni e poi sono andato a Dresda, in Germania, dove ho ballato per dieci anni e poi in Belgio, da un anno.
Tu provieni da Borgetto, in Sicilia: che cosa ti ha stimolato ad andare via?
Sicuramente mio papà, lo ringrazio tantissimo: io ero piccolissimo e gli dissi che volevo ballare e lui si è informato su una possibile carriera. Di punto in bianco abbiamo provato alla Scala senza avere alcuna base classica, ho avuto fortuna e sono entrato.
È stato duro?
Sì, all’inizio: avevo 15 anni e ho cominciato al quarto corso e dunque è stato difficile seguire gli altri allievi che erano più avanti, mentre io stavo ancora acquisendo le basi.
Di solito si impara da piccolissimi…
Io, invece, no: solo l’ultimo anno a Palermo ho frequentato una scuola privata molto buona che mi ha dato un po’ di basi che poi ho perfezionato alla Scala.
Come persona, in che modo ti ha cambiato la scuola di danza?
Mi ha aiutato la severa disciplina: noi eravamo abituati a restare in silenzio, rispettare gli adulti, gli altri ballerini. Questo mi ha permesso di sviluppare una disciplina interiore che aiuta tanto nella danza: puoi essere libero ma non fino a non avere una tua disciplina e un filo conduttore. Vedo che oggigiorno questo elemento si va perdendo in molte scuole.
Come ragazzo siciliano è stato difficile voler fare danza?
Sono stato fortunato perché la mia famiglia era abbastanza aperta di mentalità: di solito sono sempre i padri che si oppongono, il mio, invece, mi ha sostenuto. come anche mio nonno, che tre volte a settimana mi portava in auto a Palermo e aspettava che facessi la mia lezione per poi tornare insieme. Grazie a loro due sono dove sono adesso, se no, non ci sarei mai riuscito.
Hai condiviso il palco con Roberto Bolle: che ricordo hai di quell’esperienza?
Bellissimo. Ero a Napoli su un palcoscenico enorme, non ne avevo mai visto uno così grande: lui è una persona molto cordiale, bravissimo ballerino; è stato bello avere quel pubblico, quell’entusiasmo, essere insieme a lui e altri grandi artisti.
Borgetto, Milano, Dresda, Gent, Anversa…: c’è una differenza di percezione della danza da parte del pubblico?
Sì, cambia ovunque. Anche da Gent ad Anversa la gente reagisce diversamente ad un certo pezzo che fatto altrove provoca un’altra reazione. C’è chi ama più le linee, la danza neoclassica, chi più il contemporaneo con musiche più moderne e alternative: qui in Belgio il pubblico è abbastanza giovane.
Cos’è la danza per te?
Io direi arte. Sono anche un artista e dipingo: a dicembre farò un’esposizione ad Anversa. La mia è un’arte astratta dove riverso tutte queste emozioni esternate anche sulla scena.
In “The Heart of August” con la danza era integrata una forte dose di mimica, una forte espressività: secondo te, la danza nel futuro verso cosa va?
A mio parere, si sta evolvendo verso una dimensione più teatrale: non vuol dire togliere il movimento anzi, ci deve essere più movimento ma allo stesso tempo anche più teatralità e una base di soggetto dietro. Per il tipo di ballerino che sono, ho bisogno di avere un’idea e se in alcuni pezzi non c’è, la creo da me. È importante potersi immedesimare in un’emozione, che è quello che alla fine il pubblico sente: bisogna trasmettere qualcosa, comunicare gesti ed espressività, emozioni.

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