Veto ed unanimità.

2 Giugno 2022
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Giuseppe Arnò

Il chiasmo «Unus pro omnibus, omnes pro uno» ovvero «uno per tutti, tutti per uno» non è stato ancora coniato nel dizionario dell’UE. Esso rimarrà per sempre un’espressione pleonastica? Chissà, ma di certo non si può sperare un granché per come sono stati concepiti i Trattati dell’Unione, dal momento che prevedono il diritto di veto e il voto all’unanimità quando ci si trova a decidere su grandi questioni.

Come mettere d’accordo 27 teste? Missione impossibile! Sugli Eurobond, ad esempio, disaccordo quasi generale; l’Ungheria e la Germania non concordano con l´addio al gas russo; la Polonia ha profferito un secco ‘nie’ (no) alla transizione verde perché danneggerebbe la sua produzione tuttora vincolatissima al carbone; sulle forniture di armi a Kiev, oltre al disaccordo dei governi europei, «solo il 24% degli intervistati (secondo un sondaggio di Pagnoncelli) pensa che in questa fase della guerra il nostro Paese debba limitarsi a continuare a fornire armi e sostenere la resistenza ucraina; per il 62%, però, sarebbe meglio alleggerire il sostegno a Kiev da questo punto di vista e trovare invece un modo per riaprire il dialogo con la Russia di Putin»; e infine, ma non per ultimo, il ‘veto’ (ungherese in questo caso) è tornato ad aleggiare sulla sesta tipologia di misure di restrizione nei confronti della Russia: la rinuncia alle forniture di petrolio. E naturalmente non vanno dimenticati i nein (no) dell’Austria e del cancelliere tedesco Olaf Scholz sulla possibilità di una procedura speciale e d’urgenza per accogliere l’Ucraina in seno alla famiglia europea.

Insomma, «[…] alla miré, alla miré, alla fiera di mastr’André», ognuno se la canta e se la suona come meglio gli conviene, solo che così non si va da nessuna parte e il carrozzone targato Europa, impantanato nella palude della burocrazia dei processi decisionali, servirà soltanto a sfornare incarichi lucrosi o di alta rappresentanza per nugoli di eurocrati che tirano l’acqua al proprio mulino. Già.

Ed ecco che, ammesso che ce ne fosse bisogno, la tragedia ucraina ha ulteriormente svelato i punti deboli dell’Unione. Quest’ultima con 500 milioni di abitanti e con 240 miliardi di euro in spese militari, quattro volte quelle stanziate dalla Russia, e con un Pil pari al 26,6% dell’intero Pil globale dovrebbe non solo saper cantare in Eurovisione, ma poter contare davvero qualcosa nello scacchiere mondiale. Invece ahinoi, sembra che viva proprio su un altro pianeta!

E allora? Sorbole, ‘Houston, abbiamo un problema’!

Senza una politica estera comune, una progressiva autonomia energetica, un moderno esercito europeo e un autorevole governo centrale in grado di decidere alla bisogna con prontezza, l’UE nel nuovo ordine mondiale sarà sempre eteronoma e dovrà necessariamente ripararsi, come fanno i pulcini con mamma chioccia, sotto l’ala protettrice degli USA, anziché rivelarsi l’ago della bilancia tra EST e Ovest, autorevolmente e come ci si aspetterebbe. D’altronde che senso ha l’Occidente come lo concepiamo noi senza un’Europa forte? E perché essa sia forte è necessario riformulare i trattati e tra le prime innovazioni che ci sia all’ordine del giorno la possibilità di poter decidere a maggioranza laddove il caso lo richieda.

E su questo tema Mario Draghi, intervenendo alla plenaria del Parlamento Europeo, è stato molto chiaro: «Dobbiamo superare il principio dell’unanimità e muoverci verso decisioni prese a maggioranza qualificata». Che diamine, oramai siamo ‘maggiorenni e vaccinati’ e vogliamo la nostra Europa, non questa Europa, mentalmente torpida, che si lascia tenere in ostaggio dal veto di giornata o che in tempi di crisi si occupa, difficile a credersi, di toelette gender e di pasti a base di tarantole.

Via il diritto di veto

Finalmente, ed era ora, si registra l’assenso anche dei popolari, dei socialisti e dei liberali sulla necessità di togliere il vincolo dell’unanimità dalle decisioni dell’UE. Allo stato, detto vincolo esiste per alcune materie (fiscali, politica estera, difesa) per cui è richiesto il voto unanime dei 27 Paesi qualora si rendesse necessario prendere delle decisioni in merito alle stesse. Va ricordato però che il processo di revisione del diritto di veto, sebbene sia complesso, è previsto dall´art.48 del Trattato sull’UE, tant’è che il 4 maggio si è aperta la Conferenza sul futuro dell’Europa per la riforma dei trattati, soprattutto con lo scopo di eliminare il vincolo dell’unanimità e del diritto di veto su diverse materie.

A conclusione della Conferenza, il Parlamento europeo ha doverosamente espresso la propria soddisfazione per i risultati ottenuti e con i quali vengono postulati i necessari emendamenti ai trattati. Sarà compito adesso della commissione parlamentare per gli affari costituzionali (AFCO) apprestare le relative proposte di riforma e dare corso alla procedura prevista dal menzionato art. 48.

Meglio tardi che mai: finalmente ci si è resi conto che nell’attualità politica il diritto di veto incarna la madre di tutti i problemi e che esso, inconciliabile con una grande Europa, dev’essere definitivamente abolito. 

È come se in Italia ad ogni azione di governo su determinate materie ci fosse bisogno del voto unanime delle 20 Regioni. Roba da chiodi! No? Basti pensare che a partire dal 2004 i Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Repubblica di Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) hanno fatto richiesta di adesione all´UE e a tutt´oggi sono, per come si suole scrivere, in attesa di cortese riscontro (la Francia di Macron non ritiene opportuno, allo stato, aprire le porte a nuovi Stati membri); che nello stesso ‘purgatorio’, a torto o a ragione, si pone la Turchia a causa del veto, ancora una volta, della Francia; che  in supplichevole aspettazione saranno destinati ad ammuffire Bosnia – Erzegovina e Kosovo (saranno oggetto di pre-esame per l´ingresso nell´Unione quando… Dio lo vorrà); e che infine all´Ucraina è stata fatta promessa di accoglimento immediato nell`Unione quando si sa bene che, con il veto di uno o dell´altro, tra un ventennio si discuterà ancora su Ucraina sì, Ucraina no. A tal proposito non ci smentisce il ministro per gli Affari Europei francesi Clement Beaune che, mentre noi scriviamo, afferma: “Kiev in Europa? Se ne parla fra 15 o 20 anni”.

Ciò stante, uffa, punto e basta! Bisognerà legiferare su nuove e agili procedure di voto che consentano al Consiglio d’Europa e al Consiglio europeo di adottare sempre più il sistema della maggioranza qualificata. Il Trattato di Lisbona prosegue sulla buona strada, adottando per l’appunto il voto a maggioranza qualificata alle questioni finora disciplinate dal voto all’unanimità, quali, ad esempio, la concessione dell’asilo o la definizione di accordi economici internazionali; per la procedura di adesione all’UE, leitmotiv della nostra esposizione, e per i trattati europei purtroppo rimangono ancora i vincoli del voto all’unanimità e del diritto di veto.

Diamoci da fare

Bene, che fino ad oggi questa sia stata la norma, alla buon’ora; ma perseverare oltre, decisamente no! Diamoci dunque da fare: prescriviamo una bella cura dimagrante al trattato sull’Unione europea (TUE) spuntando il principio dell’unanimità, le inutili lungaggini burocratiche o la solita lentezza farraginosa di ogni atto amministrativo e riconquistiamo così il continente Europa, incorporando giudiziosamente e in tempi ragionevoli i Paesi che ne facciano richiesta.

E casomai le circostanze lo richiedessero ciò potrebbe avvenire, e perché no, anche attraverso una nuova “Comunità politica europea” (un progetto di integrazione europea sviluppato parallelamente alla Comunità europea di difesa negli anni cinquanta, poi finito lettera morta) nella quale potrebbero far parte sotto la bandiera dell’autonomia  (magari Dio anche dagli Stati Uniti d’America), oltre all’extracomunitario Regno Unito e alla pacifica Svizzera, prima che sia troppo tardi, i Paesi ai nostri confini come Ucraina, Georgia e Moldavia, già feriti o minacciati dall’amore tossico della «Grande Madre Russia».

Ponendo dunque termine a questa breve disamina, disegniamo la nuova Europa; l’Europa che nasce con nuove regole e dagli errori di Putin e dei suoi generali al comando di chilometrici défilé di carri armati perlopiù obsoleti e rozzamente griffati ‘Z’ e ‘V’, quasi uscissero, nell’immaginario stilistico, dalle nostre gloriose carrozzerie Zagato e Vignale anziché dall’austera fabbrica di Uralvagonzavod.

Orsù Europa, ora tocca a te! Il piano d’azione è già tracciato. Macchine avanti tutta, ma vivaddio!, con decisione e senza por tempo in mezzo se non si vuol fare la fine dell’asino di Buridano che, a quanto pare, morì tra due fasci di fieno.

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