Il delegato di pubblica sicurezza Giovanni Rizzo e la spia 120.

6 Maggio 2022
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Storie di spionaggio e indagini durante gli anni della Prima Guerra Mondiale

Articolo tratto dalla rivista Fiamme d’Oro. Anno XLIX – n. 1, Gennaio-Marzo 2022. Rivista ufficiale dell’Associazione Nazionale della Polizia di Stato

Del Commissario Giulio Quintavalle, Ispettore Massimo Gay, Ispettore Fabio Ruffini.

Sin dall’inizio della Prima Guerra Mondiale, lo spionaggio austriaco era fortemente sospettato di assoldare i fiancheggiatori tra i compatrioti presenti in Italia e tra gli italiani disposti a tradire la nazione per denaro, o tra gli aderenti a quelle frange del movimento socialiste radicalmente pacifista per il principio della fratellanza del proletariato internazionale. Molti tra loro erano già noti alle squadre investigative e politiche delle questure – imbeccate da una rete di informatori e di “gole profonde” – per atti di sobillazione, di disfattismo, di antipatriottismo.

IL Delegato Giovanni Rizzo.

La discesa in campo della polizia nell’ufficio informazioni del comando supremo sottintendeva un riconoscimento della professionalità dei poliziotti, in buona parte dovuta alle nuove metodologie investigative della Scuola di polizia scientifica di Ottolenghi, attiva da oltre dieci anni. Ecco le ragioni per le quali vi proponiamo queste righe liberamente tratte dai segreti della polizia del delegato P.S. Giovanni Rizzo, pubblicazione edita negli anni ’50, e da altre pubblicazioni sul tema (recenti e non) indicate in queste pagine. La forma percorsa, il breve racconto – dove non è sempre possibile distinguere la verità storica dalla funzione – desidera coinvolgere e interessare il lettore con una formula narrativa poco battuta ma, ci auguriamo, avvincente, come la storia della Polizia. Con I segreti della polizia Rizzo, da poco in pensione, affidava ai lettori la propria esperienza professionale e di vita; un’opera poco nota che, a distanza di oltre un secolo dagli avvenimenti narrati, diviene oggi spunto per ricordare alcuni aspetti poco battuti – ma non per questo meno importanti – delle innumerevoli vicende che hanno segnato il percorso storico della Polizia di Stato che, ricordiamolo quest’anno festeggia i 170 anni di fondazione.



Propaganda di guerra; cartelloni come questo erano esposti negli uffici pubblici, nelle stazioni, nei mercati, nelle maggiori vie commerciali dei centri cittadini, nei luoghi di lavoro, di ritrovo e di svago per ricordare alla popolazione l’importanza della riservatezza di notizie di carattere militare di cui possono venire, anche casualmente, a conoscenza

Dalla scuola di polizia scientifica all’intelligence

Quando il giovane delegato Giovanni Rizzo viene trasferito dalla questura di Milano al Ministero dell’interno, a disposizione di quella Guerra, ha pochi anni di servizio, ma già si è fatto notare dai superiori. Nel dicembre del 1907, terminato il corso di Polizia Scientifica, viene trasferito a Messina dove riceve il primo encomio per aver portato a termine una laboriosa indagine di polizia giudiziaria. Dimostrando in più occasioni di saper amalgamare sapientemente e scientificamente e proficuamente le nuove tecniche della detection, apprese alla scuola di polizia scientifica di Ottolenghi  – obbligatoriamente frequentata per conseguire la nomina a delegato – con le “spiccate attitudini”, Rizzo in pochi anni si farà apprezzare per i risultati di servizio. E’ il capo gabinetto della Questura di Roma Giovanni Gasti, già direttore del servizio di Segnalamento e Identificazione e docente della scuola, si sta compiacendo per riconoscimenti dei superiori e della Direzione Generale della P.S. meritati dal “suo” allievo. Rizzo conosce la telegrafia, parla il tedesco e l’inglese, è appassionato di Psicologia, Investigazioni Giudiziarie, Segnalamento e, più in generale degli insegnamenti della Scuola di Ottolenghi, brillantemente superati all’esame finale della stessa, tanto che il professor Gasti nota in lui le “speciali virtù” di un promettente investigatore.

L’INTELLIGENCE AUSTRIACA

Il nemico interno è rappresentato da una subdola serpe che viene catturata dall’intelligence.

Nell’agosto 1914, con lo scoppio della deflagrazione europea, mentre l’Evidenzbureau (intelligence austriaca) stava intessendo nel Paese una temibile rete di spie, fiduciari e fiancheggiatori per raccogliere informazioni di natura militare, la “caccia alle spie” di qualsiasi bandiera era praticamente una chimera. L’opportunità di un servizio di spionaggio e controspionaggio militare dipendente dall’autorità politica, come l’invidiato Intelligence Service britannico, non era ancora avvertita mentre, sul piano legislativo, la repressione dello spionaggio e della violazione della riservatezza di notizie militari era vistosamente carente. Del resto cosa temere? Da oltre trent’anni, I ‘Italia era solidamente legata all’Austria e alla Germania dalla Triplice Alleanza, quindi la scarsa affidabilità dell’intelligence, articolata dagli anni Dieci nel Servizio Informazioni dello Stato Maggiore dell’Esercito e in quello della Marina – divisi dal protagonismo e privi di coordinamento non preoccupava nessuno.

L’INIZIO DELLA GUERRA

Protagonista ricorrente nella letteratura spionistica è la donna , un involucro incantevole che racchiude l’inganno e l’astuzia

Al tuono dei primi obici, l’intelligence italiana viene rinforzata con gli Uffici Informazioni di Corpo d’Armata, dotati però di scarsi mezzi e uomini. Il direttore dell ‘Ufficio della 1 a Armata colonnello Tullio Marchetti lamentava l’organico insufficiente: quaranta ufficiali compreso un funzionario di Polizia. Per il padre dell’intelligence italiana, autore di Ventotto anni nel Servizio Informazioni Militari, gli 007 in grigioverde erano carenti di numero e di professionalità; mancava il «buon ufficiale informatore, che deve essere dotato d’intuito, [della] sensazione, del tatto, delle finezze e delle furberie, doti indispensabili per tale servizio». A ben vedere Marchetti tratteggia le qualità dell’investigatore, che deve possedere «acume investigativo, speciali virtù» e la piena conoscenza delle nuove tecniche di indagine.

LE SQUADRE MOBILI INVESTIGATRICI

Giovanni Maria Garruccio, comandante dell’Ufficio Informazioni del Comando Supremo, auspica un maggiore impegno della Polizia contro i reati di guerra e nell’intelligence. Apprezzava il delegato Rizzo della Sezione U Polizia militare e Controspionaggio, e l’azione delle Questure. Puntava in alto: chiedeva al ministro Orlando un Ispettorato generale di P.S. con dipendenti «squadre mobili di polizia investigatrice», a cui affidare I ‘ attenzionamento dei cittadini stranieri, per i quali non era possibile impedire l’accesso in Italia, ma che riteneva di doverne comunque monitorare movimenti e attività. Le Squadre mobili delle questure rappresentavano uno strumento operativo veloce, efficace, svincolato dalle pastoie burocratiche con competenza sull’intera provincia, con assegnati funzionari e agenti «di migliore attitudine per il servizio investigativo». Per Garruccio le auspicate squadre mobili dell’Ispettorato, con validi uomini e sufficienti mezzi e con giurisdizione su tutto il territorio nazionale, avrebbero ben figurato giurisdizione su tutto il territorio nazionale, avrebbero ben figurato nella caccia alle spie ed ai fiancheggiatori nemici.

L’UFFICIO CENTRALE D’INVESTIGAZIONE

La spia più famosa della Grande guerra è Margaretha Geertruida Zelle (Mata Hari), affascinante danzatrice assoldata dallo spionaggio tedesco come agente segreto H21, giustiziata dai francesi il 15 ottobre 1917 dopo un processo tutt’altro che rigoroso

Il 12 settembre 1916 (pochi giorni pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania), Orlando istituisce in gran segreto l’Ufficio Centrale d’Investigazione nel “desiderio di armare meglio lo Stato contro quella speciale delinquenza che si esercita in danno della guerra e della difesa nazionale: contro i reati di spionaggio e di tradimento e in genere agli attentati all’Esercito e alla Patria”. L’UCI di Giovanni Gasti rappresentava l’osmosi tra apparato militare e civile nel comune pugno al nemico, e comunque risulterà particolarmente efficace.

LE DONNE DELLA POLIZIA SEGRETA TEDESCA

Negli anni ’50, Rizzo ne I segreti della polizia tratteggiava la propria esperienza nell’intelligence. Probabilmente aveva sfogliato le Memorie del commissario Sileo, in servizio durante la guerra a Genova (crocevia di merci, genti e spie): «niuna meraviglia può essere superiore a quella della formidabile intelaiatura della polizia segreta tedesca che elevò lo spionaggio a funzioni di prim’ordine autonome nazionali […] la polizia segreta tedesca composta in parte da donne comprende due grandi organizzazioni [che] contavano su un personale di 300.000 assoldati».

RIZZO E LA SPIA 120

Pur considerando che «Le macchine informative si perfezionano a passo di gigante e si passa dalle malizie e dagli accorgimenti del passato ai ritrovati scientifici moderni rinunziando ai mezzi antiquati», il Delegato ammetteva che la donna «possiede una potenza mirabile, specie se dominata dallo spirito eroico, e costituisce la “grande insidia” di questa lotta occulta». Fissare l’attenzione sull’aspetto motivazione e psicologico del sospettato richiama la cultura professionale della Polizia, l’investigazione, la psicologia dell’uomo e l’ambiente in cui agisce, la conoscenza delle sue debolezze che, per Rizzo, assumevano gli ammalianti caratteri di un viso dolce «rischiarato da due grandi occhi a mandorla che parevano di puro cristallo e ricordavano l’acqua marina, [con i] capelli castani [che] incorniciavano il volto dai lineamenti perfetti. Di media statura, aveva un portamento distinto e rivelava una fme educazione; la sua voce (parlava francese), suonava come una musica». Musica avvertita anche dagli ufficiali dell’Esercito che la donna frequentava

IN CARCERE

La giovane era stata fermata dalla Questura che sorvegliava riservatamente gli stranieri “sospetti”. Rizzo la raggiunge nel carcere di Milano per sottoporla all’interrogatorio. Alloggiava in una modesta pensione, dichiarava di essere studentessa ma pareva applicarsi «con troppo fervore allo studio», concedendosi dispendiosi svaghi difficilmente possibili in tempi di ristrettezze. Frequentava qualche ufficiale e gli ambienti dove «molto si poteva udire e attingere» in materia militare, ed era stata pedinata per giorni e giorni da capaci agenti, che avevano segretamente frugato con zelo il suo alloggio, sbirciatone la corrispondenza, acquisito informazioni, senza però ricavare un ragno dal buco. La Questura l’aveva già segnalata al Servizio Informazioni del Comando Supremo proponendola al prefetto per l’espulsione dal Paese.

LA PROPOSTA Dl RIZZO

Trattava il caso il commissario P.S. Alcide Luciani della Sezione R, che consultava scrupolosamente il Casellario centrale di guerra, «vero osservatorio dove confluivano le osservazioni di tutti nazionali e degli alleati francesi e inglesi», perché nei casi di spionaggio sospettati o accertati «appariva quasi sempre una donna». Rizzo doveva ricostruire i reali motivi del lungo soggiorno della donna, accertarne lo stile di vita, la dubbia moralità ma, prima di tutto, risolvere il dubbio che gli balzava in mente mentre studiava scrupolosamente il fascicolo di indagine, generoso di elementi, indizi e sospetti ma con pochi riscontri e nessuna prova: «Poteva quell’involucro incantevole mascherare l’inganno e ospitare una spia?». Durante l’interrogatorio il poliziotto intuiva l’astuzia della giovane che dribblava con uno stratagemma: «Noi sappiamo ormai tutto di voi. Ascoltatemi attentamente, dispongo solo di pochi minuti, dopo i quali vi lascerò al vostro destino. Ho da farvi una proposta, voi non avete che da rispondere sì o no partirete subito, fra qualche giorno, con me, e ingannare il nemico del mio Paese con le informazioni abilmente manipolate dal mio Comando e che io stesso vi affiderò di volta in volta [per assestargli] un duro colpo».

DALLO SPIONAGGIO AL CONTROSPIONAGGIO

Sentitasi ormai con il cappio al collo, l’affascinante giovane non si perdeva d’animo; con un cenno del capo acconsentiva per cogliere al volo l’opportunità di saltare il fosso passando dallo spionaggio nemico al controspionaggio italiano, pur di guadagnarsi la benevolenza del severo Tribunale militare. «Sì […] sono il numero 120 del Centro di Lòrrach, località germanica prossima alla frontiera svizzera sulla linea di Basilea che certamente voi conoscete. Ho avuto l’incarico di venire in Italia Sentitasi ormai con il cappio al collo, l’affascinante giovane non si perdeva d’animo; con un cenno del capo acconsentiva per cogliere al volo l’opportunità di saltare il fosso passando dallo spionaggio nemico al controspionaggio italiano, pur di guadagnarsi la benevolenza del severo Tribunale militare. «Sì […] sono il numero 120 del Centro di Lòrrach, località germanica prossima alla frontiera svizzera sulla linea di Basilea che certamente voi conoscete. Ho avuto l’incarico di venire in Italia per conoscere la dislocazione precisa dei vostri reparti lungo l’arco alpino dalla Valsugana al mare Adriatico con dati tecnici relativi. Ho cominciato a Milano, dove sono stata arrestata». Al delegato Rizzo non rimaneva che verificare la buona fede della spia; le porgeva un album fotografico dove riconosceva due  complici, agenti segreti di Lòrrach come riprova di sincerità e affidabilità. Rizzo redigeva il rapporto con la proposta di collaborazione meritando il «vivo compiacimento» dei colonnelli Odoardo Marchetti – del Servizio Informazioni – e Camillo Caleffi. I due ufficiali inviavano un fotoritratto della donna agli agenti italiani all’estero e ai Servizi alleati attendendone la risposta, che arriva dopo qualche giorno: «La donna non è alle prime armi. Ha fatto lo stesso gioco con i servizi francese e inglese eclissandosi al momento decisivo». Di quella, ragazza incontrata quarant’anni prima, Rizzo annoterà negli anni ’50 che era stata «una maestra del doppio gioco» evitando la pena capitale perché, dalla «coscienziosa relazione mia e del mio capo», e dall’istruttoria del commissario P.S. Perilli, risultava collaborativa e sincera. La giovane verrà condannata a venti anni di reclusione e graziata dopo la guerra, ma «da quel giorno lontano, allorché sul cammino delle mie ricerche incontro una donna bellissima, penso subito alla “spia 120″».

Per approfondimenti :

Ugo Caimpenta, Lo Spionaggio inglese (Intelligence Service), Edizioni Aurora, Milano, 1934.

Fiamme d’Oro, gennaio 2018, La grande guerra e ilfronte segreto dell ‘informazione.

Tullio Marchetti, Ventotto anni nel Servizio Informazioni Militari, Museo del Risorgimento, Trento, 1960.

Giulio Quintavalli, Da sbirro a investigatore. Polizia e investigazione dall ‘Italia Liberale alla Grande guerra, Aviani Editori, Udine, 2017.

Koward M. Reds, Spionaggio e controspionaggio, Edizioni Aurora, Milano, 1934.

Giovanni Rizzo, I segreti della polizia, Rizzoli Editore, Milano, 1953.

Max Ronge, Spionaggio, Tirrena, 1930.

Gerardo Sileo, Il delitto di Vico Squarciafico Memorie, Oliveri et C., Genova, 1920.

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