Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e “ospedale da campo”, di Massimo Borghesi.

30 Marzo 2021
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Note di lettura

di Nicola F. Pomponio

Copertina Francesco

Questo nuovo volume Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e “ospedale da campo” (Jaca Book) di Massimo Borghesi, ordinario di filosofia morale all’Università di Perugia, è un ulteriore approfondimento del pensiero di Papa Francesco, rispetto al precedente testo dello stesso autore dal titolo “Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale. Il libro che si presenta è suddiviso in due parti. La prima ricostruisce la nascita, lo sviluppo e l’affermarsi della ideologia neocon, o teocon, americana che giunge a diventare egemone nel mondo cattolico a stelle e strisce, la seconda è un’analisi dettagliata di tre importanti documenti papali – le encicliche “Evangelii gaudium”, “Laudato si’” e “Fratelli tutti” -, che si pongono in rapporto con il pensiero di Bergoglio precedente alla sua ascesa al soglio papale, con la prospettiva missionaria ed evangelizzatrice di Papa Francesco e in antitesi con le elaborazioni americane descritte nella prima parte del testo.  Risultano così approfondite da un punto di vista negativo (la critica ai teocon) e da un punto di vista positivo (l’analisi dei documenti papali e l’aspetto missionario della fede) le coordinate di pensiero di Bergoglio: è un’interessantissima descrizione del nostro più recente passato (si parla di USA ma l’occhio è anche rivolto all’Italia) e delle linee guida dell’attuale pontificato.

Si è detto che la prima parte ricostruisce la parabola del pensiero neocon. L’autore, con perizia e attenzione, analizza le riflessioni dei tre principali maîtres a penser di questa corrente: Novak, Weigel e Neuhaus. Il neoconservatorismo inizia a manifestarsi a metà degli anni ’70, anche per le delusioni verso le politiche democratiche, divenendo sempre più importante in ambito cattolico nei successivi decenni. Caratterizzato da una forte accentuazione di un’etica brandita come arma contro chi non vi si riconosce, i neocon danno il via a un’interpretazione del cattolicesimo di stampo fortemente identitario; è l’impostazione delle cultural wars dove la dottrina sociale della Chiesa scompare e il vuoto è riempito da una visione “cristianista” ovvero un Cristianesimo “autoreferenziale, occidentalista, eticista, politicizzato” (pag.25).

I neocon mirano a monopolizzare la dottrina e la prassi sulle questioni etiche (in primis aborto ed eutanasia) mentre in contemporanea tessono le lodi del liberismo più estremo senza tenere conto di ciò che la Chiesa nel corso dei secoli ha detto al riguardo e anzi, interpretando a proprio uso e consumo la “Centesimus annus” di Giovanni Paolo II (banalizzata come “rottura” verso la tradizione cattolica) mirano a realizzare una totale comunanza di vedute, un vero e proprio matrimonio, tra Cattolicesimo e capitalismo liberista, matrimonio che né papa Wojtyla né i suoi predecessori (a partire da Leone XIII) né i suoi successori hanno mai benedetto. Borghesi ripercorre con attenzione le avventure di questa corrente di pensiero in quanto rappresenta un’importante novità, non è certo casuale le definizione di neocon, che poteva darsi solo negli USA perché negli States non si può rimpiangere un medioevo da cartolina, come avvenne per la francese Action française; nel nuovo mondo il conservatorismo cattolico non può che portare alla totale identificazione con la modernità e, nazionalisticamente, con i supposti interessi statunitensi. Non a caso il momento di massima influenza dei neocon arriverà con le guerre in Irak; laddove i Papi si schiereranno apertamente contro le guerre, essi spingeranno in direzione opposta contribuendo a realizzare i disastri che oggi sono sotto gli occhi di tutti, dimostrando inoltre, nei fatti, un appiattimento sulle scelte presidenziali repubblicane nonché l’uso puramente strumentale delle prese di posizioni papali condivise solo se in linea con la propria visione liberista del mondo.

Ma se dopo l’attentato alle torri gemelle si rafforza l’ideologia neocon, molto più vicina alla concezione dello scontro tra civiltà piuttosto che all’annunzio evangelico, l’egemonia di questa corrente sul cattolicesimo americano negli ultimissimi anni inizia a mostrare la corda, anche a causa di alcuni aspetti dell’Obamacare, davanti a un nuovo fenomeno che Borghesi chiama teopopulismo: è un mix, coltivato vezzeggiato blandito da Trump, di intolleranza dichiarata e sbandierata (cosa che i neocon non hanno mai affermato), di dualismo manicheo e di deliri pseudoapocalittici che hanno portato ad assaltare Capitol Hill brandendo la Croce e la Stars and Stripes. “Il Suo [di Trump] avversario è anche il nostro: è il Nemico del genere umano colui che è <omicida sin dal principio> (Gv. 8, 44)… L’alternativa [a Trump] è votare un personaggio….che farà agli Stati Uniti ciò che Jorge Mario Bergoglio sta facendo alla Chiesa” (pag.17). Chi ha scritto queste frasi non è il clownesco, sciamanico individuo dal capo di corna abbellito immortalato al Campidoglio, bensì l’arcivescovo Carlo Maria Viganò: il teopopulismo giunge a compimento nel Papa identificato col Diavolo!

A fronte della descrizione del percorso intellettuale dei neocon, Borghesi approfondisce il magistero papale alla luce dei suoi principali documenti. Sono pagine che mostrano come Francesco sia profondamente incardinato all’interno della tradizione cattolica e come gli aspetti più criticati del suo pontificato da questa tradizione traggano linfa e vitalità. Ne deriva la visione di una Chiesa missionaria nel senso più profondo del termine; missione non come forzata conversione ma come capacità di ascoltare ed essere vicini ai più deboli del mondo, a quegli “scarti” su cui spesso si è soffermato Bergoglio. Laddove gli “scarti” ovvero chi è messo ai margini, chi è rifiutato da un sistema economico basato sull’egoismo e regolato soltanto dalla massimizzazione del profitto, non sono solo le popolazioni dei paesi sottosviluppati, ma anche i poveri delle metropoli occidentali, le famiglie in difficoltà delle grandi, progredite, opulenti (ma non per tutti) città dell’Occidente. Lo sguardo di Bergoglio si sofferma, come in tutta la migliore tradizione della Chiesa Cattolica, su queste persone delineando quella “teologia della tenerezza” (pag. 237) che fa delle periferie il luogo privilegiato dell’azione pastorale. Ma la “periferia” non assume solo i contorni di un concetto sociologico o geografico o politico, bensì ingloba questi aspetti collegandoli alla sofferenza umana materiale e spirituale ricordando così alla Chiesa di essere missionaria a Rio come a New York a Baghdad come a Roma.

A fronte di una presunta “Realpolitik” teocon, di un Cristianesimo asservito a una politica di potenza (si vedano le interessantissime pagine dedicate alle varianti italiane dei teocon come Ferrara, Pera, Quagliariello, Galli della Loggia e i cosiddetti “atei devoti”), la visione di Francesco indica una via radicata in una teologia che fa della vicinanza alla sofferenza umana, della kènosis, la sostanza del proprio agire. La Chiesa è un “ospedale da campo” e, coerentemente, l’arcivescovo Bergoglio celebrava ogni anno all’aperto in Plaza Constituciòn a Buenos Aires, la piazza dei “senzatetto, disoccupati, tossicodipendenti, migranti in attesa di essere reclutati da un <caporale schiavista> e soprattutto prostitute… la messa dedicata alle vittime di tratta e traffico di esseri umani” (pag. 221). Il Papa ha fatto suo, fin nelle più intime fibre, l’insegnamento ignaziano: “Non coerceri a maximo contineri tamen a minimo divinum est” (non essere costretto da ciò che è più grande, ma essere contenuto in ciò che è più piccolo, è divino).

Buona lettura, ne vale veramente la (gradevole) pena!

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