La ciliegia ferrovia di turi: ‘Regina delle Regine’

22 Giugno 2015
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di Stefano de Carolis

s.decarolis@corrierepl.it

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Gli agricoltori del territorio di Turi, agl’inizi del ‘900, vivevano producendo prodotti agricoli redditizi e molto richiesti sul mercato: olio, vino, mandorle, legumi e cereali. Altri frutti da loro coltivati, erano solo ed esclusivamente per il consumo familiare. Quindi era impensabile immaginare che la coltivazione del ciliegio a Turi, un giorno, poteva divenire una fonte significativa di reddito.

 Tuttavia, negli anni trenta del ‘900, ad un agricoltore turese capitò di osservare che in un suo terreno era nato spontaneamente un ciliegio in cumulo di pietre. Arrivato il giorno della maturazione dei suoi frutti, l’attento agricoltore ne gustò le caratteristiche, apprezzandole con immenso stupore.

 La nuova ciliegia si mostrava dal colore rosso brillante, con un lungo peduncolo, e con una morfologia ‘a forma di cuore’. Inoltre la sua polpa era consistente, dal sapore leggermente acidulo, gusto intenso, e con un grado zuccherino molto delicato. Dopo averne apprezzato le qualità, gli agricoltori turesi, decisero che con quelle caratteristiche peculiari, si doveva denominare ‘ciliegia ferrovia di Turi’, in quanto si poteva utilizzare, per l’appunto, il vettore della ferrovia, intendendo che il prodotto si poteva trasportare e commercializzare con il treno, senza usare i lenti e polverosi carri agricoli ‘traini’, tirati dai muli e dai cavalli. Con il treno merci il fragile frutto avrebbe potuto raggiungere in tempi ragionevoli i lontani mercati del nord Italia, tanto da farla conoscere ed apprezzare quella che sarebbe divenuta la nostra ‘eccellenza pugliese’.

 La ciliegia ferrovia di Turi, negli anni, ha conservato intatto il suo nome, le sue qualità, ed il suo ineguagliabile calibro, che oscilla tra i 28 ed i 30 mm. Oggi il territorio di Turi ha una superficie coltivata a ciliegio di circa 3800 ettari, con una produzione annuale di 100 mila quintali. Si rimane in trepidante attesa, da ormai troppo tempo, di ricevere il marchio D.O.P. da parte del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, ‘politica permettendo’.

 Da questi cenni storici si delinea come in Puglia, ed in particolare nel sud est barese, si sia formato e sviluppato negli ultimi decenni un interessante polo cerasicolo. I dati della Confederazione Italiana Agricoltori dicono che la Puglia è la prima regione produttrice in Italia, con una produzione di circa 500 mila quintali, su una superficie di circa 14 mila ettari.

 La D.O.P (denominazione d’origine protetta), è un marchio di tutela giuridica della denominazione che viene attribuito dall’Unione Europea agli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente dal territorio in cui sono stati prodotti. L’ambiente geografico, i fattori naturali, il clima, e soprattutto le tecniche di produzione, tramandate nel tempo dai nostri avi: tutto questo deve essere combinato con sapiente esperienza, consentendo di ottenere un prodotto ‘unico’ per quel territorio. Tuttavia, chi produce prodotti con marchio D.O.P., deve attenersi alle rigide regole produttive, stabilite nel disciplinare di produzione, ivi compreso l’uso illegittimo e sciagurato di prodotti chimici banditi dal Ministero della Sanità e quindi banditi dalla legge Italiana. (caso Dormex, ma questa è un’altra storia).

 Tuteliamo il nostro “made in Italy”, onde evitare che i consumatori acquistino, inconsapevolmente, prodotti della terra ‘farlocchi’, prodotti non certificati, venduti nei mercati italiani ed europei a caro prezzo, per prodotti coltivati in Italia, ma realmente provenienti da stati extracomunitari. Questa infame e truffaldina politica commerciale, danneggia gravemente tutto il comparto agricolo Italiano, ivi compreso i nostri agricoltori, che oggi più che mai sono attanagliati dalle innumerevoli tasse, balzelli, e sottoposti ai continui e pressanti controlli d’ogni tipologia.

 Per l’occasione abbiamo colloquiato con il dott. Antonello Palmisano, esperto in scienze naturali, nonché consigliere delegato all’agricoltura del Comune di Turi il quale ci ha detto: “L’anno 2015 sarà ricordato tra i più nefasti per l’imprenditoria agricola turese che poggia la propria economia quasi esclusivamente sulla cerasicoltura. Si tratta di un’annata particolare in cui il freddo invernale, necessario per la dormienza della pianta, si è protratto oltre quelle che sono le medie stagionali seguito dalle improvvise alte temperature primaverili. Questo ha reso complicato sia le dinamiche di maturazione che di raccolta, portando alla diminuzione del calibro delle ciliegie (la dimensione del frutto) e ad un ravvicinamento tra le diverse varietà Bigarout, Giorgia e Ferrovia. Il risultato finale è stato tragico: i mercati si sono presto intasati di ciliegie con conseguente svalutazione del prodotto che all’agricoltore che conferisce presso i magazzini ortofrutticoli è stato pagato fino anche a 0,70 centesimi di euro, ben al disotto dei costi di produzione e raccolta costringendo i produttori in molti casi a lasciare le ciliegie sugli alberi, con stime di raccolto perso che in alcuni casi superano il 30-40%. A questo si è aggiunta una violenta grandinata negli ultimi giorni di maggio che ha colpito una fascia ben estesa di territorio con ulteriore perdita di prodotto.”

 La qualità dei frutti non è stata intaccata dagli eventi climatici; infatti anche quest’anno la ciliegia Ferrovia di Turi è stata premiata dall’Associazione Città della Ciliegia come MIGLIORE CILIEGIA D’ITALIA DEL 2015, la premiazione avvenuta durante l’edizione conversanese della Festa Nazionale della Ciliegia conferma il potenziale che la Ferrovia di Turi e del sud-est barese può ancora esprimere, proponendosi sui mercati italiani ed esteri come prodotto d’eccellenza. In definitiva la “ferrovia” rimane la regina delle ciliege.

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