L’AQUILA E ILTERREMOTO INFINITO

8 Febbraio 2015
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La versione di Luigi

 

di Luigi Fiammata

L’AQUILA – “Tutta colpa di Terry. E’ lui il mio sassolino nella scarpa. E, se proprio devo essere sincero, è per togliermelo, che ho deciso di cacciarmi in questo casino, cioè di raccontare la vera storia della mia vita dissipata. Fra l’altro, mettendomi a scribacchiare questo racconto, violo un giuramento  solenne, ma non posso non farlo”.

Erano passati quattro anni abbondanti, dall’ultima volta che aveva partecipato ad un convegno sul futuro della città. Tanto che non ricordava nemmeno più, di quale futuro si parlasse allora. Nel frattempo, la sua vita era molto cambiata. Però, stavolta, aveva deciso di andare ad ascoltare. Iniziava un nuovo anno; i buoni propositi erano ancora di moda: informarsi di più, partecipare. Aveva deciso perciò di prendersi l’ultimo giorno di ferie rimasto dal 2014, e usarlo. Aveva chiesto al Direttore del suo ufficio se la sua assenza avesse comportato problemi sul lavoro, ed aveva ricevuto una risposta rassicurante. Quindi,  aveva scritto una brevissima lettera di comunicazione della richiesta di ferie e gliela aveva consegnata. Poi, ne aveva data copia anche all’Ufficio Amministrazione, perché avvisasse l’Ufficio Paghe, così da computare il giorno di ferie fruito, in busta paga.

Il mattino arrivò all’Auditorium del Parco. Entrò per primo. Per primo vide le persone poste alla reception. Le persone alla reception di un Convegno, di qualunque convegno, sono sempre donne, giovani, e indossano sempre scarpe col tacco altissimo. Un convegno che si rispetti, non può iniziare senza gonna e tacchi a spillo. La sala era vuota. Il rosso delle pareti, e delle sedie, aveva un sottile profumo di resina fresca. Scelse una sedia tra quelle dell’ultima fila, in alto. Per poter avere uno sguardo d’insieme. Trascorsi pochi minuti, arrivò in sala il suo vecchio amico Marcos. Che lo vide, dal basso, e lo salutò, calorosamente.

–  Allora ogni tanto esci dal tuo guscio!

La sala rimbombò del suo vocione calvo e barbuto. Sedette vicino a lui. Lo guardò ridacchiando.

–  Fammi capire… che ci fai qui?

–  Sai, voglio ascoltare. Il Gran Sasso Science Institute, organizza, e io sono curioso. Voglio capire se esce fuori qualche idea interessante; voglio capire come l’Istituto si colloca nel dibattito cittadino. Voglio guardare l’ex Ministro, che sembra voler costruire una politica a partire dai territori per poi  far sintesi a Roma, e capire che relazione ha con i rappresentanti politici aquilani, se di conflitto, o di collaborazione. La Senatrice più importante, ad esempio, proprio oggi, ha fatto pubblicare il testo di una sua lettera al Sottosegretario alle Finanze, con delega alla ricostruzione, in cui fa l’elenco delle cose che servono alla città. E quindi si pone, classicamente, come mediatore delle risorse, tra Roma e L’Aquila. Che, per carità, serve pure, ma io speravo che questa funzione politica si fosse esaurita con gli anni ’80 del secolo scorso.  E quindi, si pone oggettivamente distante, dall’ex Ministro.

–  E che fai, l’anima candida ?  Senza soldi non si fa niente.

–  Vero. Ma i soldi senza progetto, servono solo a finanziare i poteri e le clientele.

–  Piantala. Se quella scrive che servono i soldi per i Lavoratori precari del Comune tu che dici? Che fa male?

–  Io non lo so se fa male; direi una stupidaggine se pretendessi di dare un giudizio su come quelle persone sono state selezionate, da chi, come lavorano, cosa fanno e quanto servono. Non ho informazioni sufficienti. Però, chiedo. Ma quando tra dieci anni avremo ricostruito tutta L’Aquila (dieci anni?), e avremo millemila dipendenti comunali, con quali risorse li pagheremo?

–  Hai rotto davvero. Ti leggo, sai, quando scrivi le tue storielline su Facebook. Sempre a pensare a quello che succederà tra cinque, dieci, quindici, venti anni, un secolo. Guarda che tu vivi adesso!  Adesso. Adesso la gente mangia, lavora, è disoccupata. Adesso, mica fra dieci anni! 

–  Certo, adesso. Come adesso si ristrutturano le case che dovranno resistere al prossimo terremoto fra trecento anni. No? Con l’adeguamento sismico, che, adesso, è pagato solo fino al 60% del possibile. E

non mi preoccupo, adesso, di arrivare al 100% della sicurezza tecnicamente raggiungibile; e, invece di arrabbiarmi per una legge sbagliata, o al limite decidere di cacciar soldi di tasca mia,  mi preoccupo invece di scegliere  il parquet per la stanza da letto, così quando calo dalla branda la mattina, posso scendere a piedi nudi nel caldo e andare subito al bagno senza cercare le ciabatte. E la prostata gode.

–  Pure lo spiritoso mi fai ? Ma allora ti fa bene startene solo solo nel tuo guscio…

Era l’orario di avvio dell’incontro e iniziavano ad entrare le persone nella sala. Molti giovani, che non aveva mai visto prima, forse dottorandi del Gran Sasso Science Institute. Molti aprivano computer portatili e tablet. Era una L’Aquila parzialmente diversa, da quella di quattro anni prima, ad un Convegno nella sede ANCE, dove aveva ascoltato spiegare, dall’allora Presidente della Regione Abruzzo, che L’Aquila avrebbe avuto seri problemi a riuscire a spendere tutta la enorme quantità di denaro che sarebbe piovuta sulla città per la ricostruzione. E in tanti, al governo, all’opposizione, nel sindacato, tra i costruttori, annuivano. Ed ancor più diversa dalla platea radunata in un palasport a Rocca di Mezzo, nel 2005, per la “ Fabbrica del Programma“, dedicata ai temi della Montagna. C’erano Sindaci, allora, Associazioni Imprenditoriali, Cooperative, tre Sindacati, politici, associazioni ambientaliste. I corpi intermedi della società, a discutere di  una elaborazione nazionale, partendo da esperienze locali.

L’Aquila presente al Convegno era fatta di cittadini e cittadine. Legami di conoscenza, magari di comune impegno lavorativo o di studio. Ma, fondamentalmente,  una città molecolare. Fatta di solitudini, e di rapporti diretti, quando possibili o voluti, tra rappresentanti e rappresentati. Era una platea che si frequentava  sui social network. Il Direttore del GSSI avviò i lavori, auspicando che tutti i soggetti in campo nella città, fossero capaci di muoversi insieme, coerentemente. Come se fosse possibile conciliare interessi conflittuali, attraverso il saggio uso della buona volontà. E non invece attraverso l’esercizio, durissimo e responsabile, delle scelte di priorità, sulla base di una visione vera e profonda del futuro della città. Ad aprire gli interventi, fu chiamato un professore, che aveva già scritto sulla città. Il sistema urbano europeo, raccontò, era sottoposto a straordinari cambiamenti, passando attraverso momenti anche molto duri, e, spiegava, le città che non riuscivano a comprendere il contesto nel quale si stavano muovendo, a partire dalla crisi fiscale, rischiavano enormemente.

Si rivolse a Marcos, a voce bassissima:

–  Europa? Ma se qui, l’unica Europa che interessa è quella che deve ratificare che non aver pagato le tasse durante l’emergenza del sisma, non era “aiuto di Stato”. Per il resto l’Europa è considerata fuffa

e burocrazia.

Marcos rispose:

–  E pensa alla crisi fiscale. Sono sei anni, che chiediamo, tutti, dal sindacato, al Sindaco, che per L’Aquila non sia applicabile il Patto di Stabilità.

–   Bèh, in un certo senso è pure giusto: ci sono tasse locali che nessuno può o dovrebbe pagare.

–  Avrai anche ragione, ma c’è qualcuno che si preoccupi di verificare se, in condizioni “normali”, anche L’Aquila non avesse qualche problemino di Bilancio ? Un giorno, dovremo pur tornare alla “normalità”, no?

– Adesso che fai, sei tu che pensi ai prossimi cinque, dieci o vent’anni? Non eri tu il teorico  dell’”adesso”?

–  E’ proprio perché penso all’”adesso” che te lo dico: guarda che, al prossimo giro di Legge di Stabilità, magari non si giustificano più gli stanziamenti a copertura dei buchi del bilancio comunale…

Semplicità, pertinenza, realismo, erano le qualità necessarie, indicate dal professore, per trovare uno spazio per L’Aquila, in ambito europeo. Su un piano economico, quanto accadeva a L’Aquila, non era decisivo né per l’Italia, né per l’Europa, sosteneva.

–  Ma come ? L’Aquila non è il più grande cantiere d’Europa?-, scattò Marcos.

Indipendentemente dal sisma, L’Aquila, per sopravvivere, per trovare una propria via di sviluppo, avrebbe dovuto comunque cambiare traiettoria, rispetto al suo passato. Si rivolse a Marcos:

–  Vedi, quando te lo dicevo io… che era fondamentale comprendere la continuità, tra quello che c’era prima del terremoto, e quello che c’è dopo il terremoto. E non tanto la discontinuità, creata dalla tragedia.

–  Quando esci dal guscio, fai pure il saputello?

–  Guarda che io lo avevo scritto, prima.

–  Nostradamus de noantri…

–   Lascia perdere le battute. Tutti pensano come se il mondo iniziasse il sette aprile del 2009. Io invece penso che dovremmo sempre ricordare bene come era, il 5 aprile del 2009, per comprendere dove

stiamo andando ancora oggi.

–  Mi sembra un giochetto di parole.

–  E non lo è. Pensa all’affare edilizio che si voleva fare, prima del terremoto, sull’area davanti al motel Amiternum; e pensa a dove oggi vogliono fare la “stazione dei bus “. Cambia il nome, non la sostanza delle cose. E la sostanza è solo quella  degli interessi particolari sul piano urbanistico-edilizio. Quegli interessi che, ancora oggi, impediscono che si faccia il nuovo Piano Regolatore, che, pure, secondo la Legge 77 del 2009, avrebbe dovuto essere fatto subito. “I comuni dispongono la ripianificazione del territorio comunale “, recitava la Legge!

Ogni comunità locale, sceglie il proprio futuro, continuava il professore. Dentro un orizzonte di Democrazia, e Partecipazione, diceva.

–  E noi, dopo sei anni, avremo l’Urban Center…-, quasi urlò, Marcos.

–  Forse. Forse discuterà il Piano di Ricostruzione di Collebrincioni bassa.

E, fondamentale, sarà l’interazione tra attori diversi, concludeva il professore. Con il tono di voce dello sconfitto. Di chi aveva, in tempi ancora utili, indicato una traiettoria possibile per la città. Cui però non era seguita alcuna politica concreta. Nessun atto amministrativo conseguente. Nessuna visione d’insieme, capace di dare agli sforzi della ricostruzione, lo slancio del futuro possibile. Quello che aveva a suo tempo scritto il professore, era solo uno dei tanti ipotetici futuri di questi anni, nessuno dei quali, capace di avere un decente presente.

E nella testa, le tre parole  “semplicità, pertinenza, realismo”, rimbombavano. Cercava di coniugarle con questioni concrete. E ne aveva scritto, tanto. Ma quasi solo per sé stesso. Come fare i compiti a casa, da bambino, senza un maestro che li correggesse. Senza un luogo collettivo dove discutere, in realtà. Senza un confronto tra soggetti, e senza che le elaborazioni passassero per mediazioni superiori, a livello regionale, o nazionale, e poi europeo. Gli sembrava solo d’aver provato, in quegli anni, a scalare un muro, per guardare oltre.  E ogni volta che riusciva a buttare lo sguardo oltre il confine di mattoni, trovava solitudine.

Entrò la Senatrice meno importante. Una volta, la presenza di un parlamentare, sarebbe stata annunciata dal palco, e vi sarebbero stati applausi. Magari anche solo di cortesia. Nella sala, solo qualche breve mormorio. Entrarono sindacalisti, in ritardo, di due diversi sindacati. L’architetto movimentista ciuciuettava, con l’ingegnere capo dell’opposizione in Consiglio Comunale. La sala era quasi piena, mentre gli interventi programmati della mattinata, si susseguivano, più o meno precisamente, secondo tempi brevi già stabiliti.

Ciascun intervento, avrebbe dovuto raccontare un progetto, un lavoro svolto. Un futuro possibile. E, ciascuno dei relatori, si sforzava di far questo. Per lui, che osservava da lontano, cresceva però l’estraneità a quelle parole. Era una sensazione disturbante. Poiché ogni volta che qualcuno raccontava un pezzo di generosità e di impegno, immediatamente gli salivano in gola richieste di chiarimento. Dubbi sui possibili conflitti di interesse personali. Scenari in cui si raccontava di fibre ottiche e linee di comunicazione futuribili ( di cui lui ascoltava discussioni a partire dai primi anni ’90 del secolo scorso ), e non si raccontava di quali aziende le avrebbero progettate, e installate, e per fare cosa. Decisioni già assunte su importanti immobili, proprietà di istituzioni pubbliche, per un cambiamento delle loro destinazioni d’uso. E qualcuno che aggiungeva che era esattamente così, che si sarebbe potuto costruire un nuovo Piano Regolatore. Solo fotografando i punti di aggregazione, che il mercato, o le decisioni singole di ciascuno stavano creando. Una magia spontanea.

E anche i tanti soggetti che, con il solo volontariato, intervenivano su questioni strutturali, come la formazione o la scuola, con abnegazione, gli apparivano come anelli di una catena che non legava nulla insieme. Perché non vi era un discorso complessivo che intervenisse, contemporaneamente, su ogni pezzo del panorama sconnesso che vedeva davanti a sé. Il lavoro, meritorio magari, svolto su un territorio, non si saldava con  strategie nazionali, o europee, e con soggetti che ne fossero portavoce ad un livello più alto. Tutto, gli appariva essere chiuso dentro le mura della città.

La legge 366/1990 diceva che, sarebbero dovuti esistere fondi a disposizione del trasferimento tecnologico, che l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, avrebbe dovuto e potuto favorire, tra le proprie ricerche, e il tessuto di piccole e medie imprese del territorio. Ma chi se lo ricordava? Di sicuro non chi aveva parlato a nome dell’INFN. Chi avrebbe potuto magari chiederne il rifinanziamento? Di sicuro non una rappresentanza politica territoriale. Impegnata in altro. Era tutto, come se tutto, ma proprio tutto, fosse la “prima volta”. E lui, in quella sala, fosse l’unico reduce. Un ultimo, rimasto dentro una foresta a combattere una guerra che era finita vent’anni prima.

Gli interventi della sessione del mattino arrivavano a chiusura. Qualcuno dei suoi colleghi di lavoro lo aveva scorto. Senza salutarlo. Naturalmente.

Si rivolse a Marcos e gli disse:

–  Me ne vado. Torno nel pomeriggio. Tienimi il posto, che mi sono affezionato a te.

–  Ti perdi il buffet?

–  Ho sempre dei problemi, quando mi offrono qualcosa che penso di non meritare. Ci vediamo dopo, dai.

Arrivò un po’ più tardi del dovuto, in realtà, nel pomeriggio. Quando già molti degli interventi previsti erano stati pronunciati. Tuttavia, non fece fatica a ritrovare un posto in alto, per continuare a guardare. Ora la platea stava cambiando. Arrivavano, alla spicciolata, i rappresentanti delle Istituzioni. Circondati da efficienti staff. E giornalisti.

Come già era accaduto in quasi tutte le elaborazioni scritte, riguardanti il futuro della città, o in quasi tutti i convegni pubblici, continuava a mancare un attore fondamentale. Un attore che restava sempre in silenzio, e non confrontava con nessuno le proprie strategie. E a cui nessuno, peraltro, sembrava far caso. Una cosa quest’ultima, che giudicava incredibile. Letteralmente incredibile. Neanche al convegno del Gran Sasso Science

Institute, era presente il sistema bancario. Nessuno se ne dava peso. L’allocazione delle risorse finanziarie, decisa, o non decisa, dal sistema bancario, continuava ad essere una variabile inutile nella discussione sul futuro della città. Negli ultimi sei anni, a L’Aquila, e in Abruzzo, era scomparsa, o quasi, una dimensione locale delle banche, e presto, secondo le intenzioni del Governo, l’equilibrio trovato dal sistema bancario locale e abruzzese, avrebbe potuto nuovamente cambiare assetti proprietari e scelte. Ma tutto questo era ininfluente, in qualunque discussione avesse, fino a quel momento, letto  o ascoltato sulla città dell’Aquila.

Prese la parola l’ex Ministro, col compito di tracciare una sintesi, di quanto sino a quel momento ascoltato, ed offrirla alla riflessione successiva dei livelli istituzionali, che avrebbero, di seguito, chiuso il Convegno. L’ex Ministro iniziò, spiegando, esplicitamente, che non c’era un progetto complessivo e condiviso sul futuro della città. Tutti i tentativi, sin lì compiuti, erano falliti.

–  Ma che bello. E di chi è la responsabilità?

–  Non fare domande difficili, Marcos.

–  Quindi, fin qui, abbiamo scherzato. Tonnellate di carta buttate.

E  prese a riprendere, lodandoli, ciascuno degli interventi del mattino, e del pomeriggio. Ottimista, sul futuro possibile. Un ottimismo che cercava di trasmettere alla platea. Una specializzazione intelligente della città, che avrebbe dovuto individuare cosa, possedesse di importante, e trasformarlo, attraverso innovazione e sostenibilità.

–  Marcos, guardati intorno. Tu li vedi, i soggetti del cambiamento?

–  Non ti capisco, che vuoi dire?

–  Scusami, noi, a l’Aquila, che abbiamo? 

–  Università… INFN… GSSI… Conservatorio…. Accademia delle Belle Arti… Teatro Stabile… Imprenditori che vorrebbero costruire con il risparmio energetico…c’erano tutti qui, no?

–  Hai ragione, ma a me non basta; perché noi a L’Aquila, non abbiamo invece le imprese. Non ci sono le imprese farmaceutiche. Non ci sono quelle Elettroniche e dello Spazio. Non ci sono i Call Center che occupano migliaia di persone….

–  Va bbèh scusa, ma che pretendi? Che il Gran Sasso Science Institute, inviti qui tutta L’Aquila?  

–  Certo che no. Non è un soggetto istituzionale. Non ha di questi doveri. E’ che però, mi sembra, che non ci si può, ogni volta, innamorare di tante cose belle e nuove, dimenticandosi, di quello che davvero muove l’economia in città. E da cui non si dovrebbe prescindere. Quanto fanno millecinquecento stipendi di lavoratori di call center a mille euro al mese  (tanto per fare cifra tonda), che si riversano in città?

Comunicazione, informazione, trasparenza. Le tre parole scelte dall’ex Ministro. Offerte alla riflessione del Sottosegretario alle Finanze, del Presidente della Regione Abruzzo, del Sindaco dell’Aquila. Nel frattempo, tutta la platea si muoveva. Un sindacalista, dei due sindacati presenti, si alzava deferente dalla prima fila, per far sedere il Presidente della Regione, venendo premiato con un baciamano, dal Vicepresidente della Giunta. L’architetto movimentista e l’ingegnere dell’opposizione, continuavano a ciuciuettare.

–  Vedi, Marcos. La Senatrice più importante non c’è. Escludiamo l’ipotesi che non ci sia perché impegnata altrove. Immaginiamo invece che non ci sia per una precisa scelta. Che scelta,  secondo te?

–  E che ne so ? Magari le sta antipatico il Sottosegretario.

–  Sbagli. Non c’è, perché così si riserva la possibilità di replica, alle parole e agli atti del Sottosegretario. Se non è qui, non è impegnata ad annuire o dissentire dalle parole del Governo. E’ libera, di rappresentare il territorio. O, al limite, è libera di rappresentare di rappresentarlo. E’ dialettica.

–  Che, in napoletano, si traduce con “ammuina”.

–  Smettila di fare il dissacrante, gratis. Guarda che invece è anche così, che si rappresenta davvero il territorio. Il problema vero, semmai, è perché debba essere anche questo il modo. Tutta tattica. E’ questo, in realtà, l’ “adesso”, di cui parlavi stamattina. E che io non reggo più.

–  Ecco. Se non lo reggi, fai bene a stare nel tuo eremo. Nel tuo guscio di puro senza essere duro.

Il Sottosegretario iniziò esattamente così. Come l’ex ministro le aveva lasciato la parola. Era necessario comunicare i successi. L’uso positivo delle risorse pubbliche doveva essere comunicato. Nel mondo d’oggi, l’immagine di una città invasa da appalti mafiosizzati, da puntellamenti taroccati, da balconi cadenti, era perdente.

Il Sottosegretario comunicava che, nell’incontro di lavoro, del mattino,  era stato risolto il problema del rispetto del patto di Stabilità da parte del Comune, e che la ricostruzione della città sarebbe stata oggetto di una legge nazionale.

 –  Vedi, il Sottosegretario, ha risposto alla lettera della Senatrice.

–  Vedremo. Speremo. -, rispose, Marcos.

 Il Sindaco annunciò che, entro tre anni, il centro storico delle frazioni della città, e de L’Aquila, sarebbe ripartito. E, che, sarebbe stato importante poter utilizzare la quota di fondi destinati al rilancio delle attività produttive anche per realizzare infrastrutture.

 –  Ascolta bene queste parole, Marcos. Una volta, quando c’era il finanziamento straordinario per il Mezzogiorno,  c’era un dibattito. Se utilizzare i soldi a fondo perduto per fare le strade, o per aiutare le attività produttive. E così, c’è chi ha scelto la Salerno-Reggio Calabria, e chi invece aveva l’Italtel.

–   Bel dibattito. La Salerno-Reggio Calabria, ancora non è finita, e l’Italtel, da mò che è chiusa.

–   Guarda che le parole del Sindaco dovrebbero suscitare un dibattito serio.

–   Ma tanto, è già così. Ti sei scordato che una parte di quei soldi sono serviti a ripianare, poco, i debiti del Centro Turistico del Gran Sasso?

–  Lo so, Marcos. Non se ne esce. Qui l’emergenza è continua. La crisi fiscale, è questa. Il continuo taglio di trasferimenti finanziari dallo Stato alle autonomie locali, questo significa. Da vent’anni e più a questa parte, stanno seccando tutto.

–  Sì, e però non si è fatto davvero nulla, per razionalizzare, dare efficienza, rendere economicamente sostenibile. E’ così che l’intervento pubblico in economia è diventato una bestemmia.

–  Sì, Marcos. E’ così che poi l’Italtel l’abbiamo svenduta e chiusa. Privatizza, e privatizza. Regaliamo mercato, e chiudiamo tutto. E impoveriamo la città, e la funzione pubblica.

–  E’ vero quello che dici, ma, insisto. Per dare lezioni, dovresti essere il primo della classe. E qua dovremmo stare invece dietro la lavagna in ginocchio sui ceci. Altro che soldi alle infrastrutture e al Turismo!

 Il nuovo Piano Regolatore avrebbe dovuto ricucire pezzi di città , e mettere a posto la mobilità urbana, chiudeva così, il Sindaco, il suo intervento.

 –  Il nuovo Piano Regolatore, dovrebbe contenere un’unica norma. “ E’ fatto divieto assoluto di operare, in qualsiasi modo e forma, in deroga al presente Piano Regolatore”.

–  Ecco che viene fuori la tua vera faccia di giacobino massimalista.

–  No, è solo che mi sono rotto il cazzo di guardare come hanno devastato la città.

–  Anima bella…

 Ed ecco il Presidente della Regione. Affilato.

 L’Aquila, era stata industria innovativa, formazione e montagna. E avrebbe dovuto essere molta più formazione. E racchiudere, nel proprio spazio urbano l’infinitamente piccolo, studiato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare; l’infinitamente grande, su cui lavorava la Thales Alenia; l’infinitamente bello del Gran Sasso. E rivolgersi agli abruzzesi nel mondo, perché fossero ambasciatori dell’infinitamente pacifico rappresentato da Celestino V. L’Aquila, era terra di fiumi, che univano l’Abruzzo, scorrendo dalla montagna al mare. E da qui, oltre che dalla prossimità con altri luoghi, che si sarebbe dovuto partire per delineare una vera strategia di sviluppo, in cui, certo, la Regione sarebbe stata accanto alla città de L’Aquila.

 –   E così, caro Marcos, capisci perché lui è il Presidente della Regione, e tu no. Ha una visione.

–   Io, invece, c’ho le visioni…

–  Scherza, scherza. Intanto, ha proposto delle suggestioni, e se vuoi rispondere davvero, devi metterti sullo stesso piano, scegliere se seguire quelle strade, o indicarne delle altre. Rispondere nel merito.

–  Io non posso mettermi sullo stesso piano. L’unico piano che vedo, è quello di fuga. Tutti se ne stanno andando, non senza prima abbracciarsi e baciarsi. E dalla porta non esce più nessuno. Dovevamo chiedere a Renzo Piano, una Uscita di Sicurezza.

–  Quella, l’ha scritta Silone….

 Si ritrovò in macchina, lungo via Castello. Nella sera. E venne colto da un pensiero. Inviò un sms al suo ufficio. E ne ricevette uno di risposta. Era successo esattamente quel che aveva pensato, e che non sarebbe potuto neanche accadere. In un mondo normale. Era stato visto in un luogo che non era il suo posto di lavoro. E, chi lo aveva visto, aveva voluto controllare che fosse lì, avendone diritto. Regolarmente.

 Per essere lì, quel giorno, era in ferie. Non in malattia, o in incognito. Ma qualcuno pensava che avesse imbrogliato.

 “ Chi parla male, pensa male”, diceva Nanni Moretti. E si comporta peggio, pensò, sorridendo.

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