L’AQUILA. Porta Barete dalle libertà medievali al rialzarsi dell’Aquila del XXI secolo.

14 Luglio 2014
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Si ridia alla città una “perla” dei suoi secoli d’oro

di Amedeo Esposito

 L’AQUILA – Fu porta della libertà quando, nei primi del giugno di 590 anni fa, vi entrarono i ”vincitori” di Andrea Braccio Fortebraccio da Montone che tenne per mesi sotto assedio la città, la cui soldataglia compì atti inenarrabili contro le donne dei vari castelli conquistati. E’ la medievale Porta Barete scomparsa da secoli sotto gli strati incoscienti dell’incuria della comunità civica, ed oggi da monsignor Orlando Antonini, storico di raffinata cultura urbanistica-religiosa della città, riproposta alla gente aquilana, in tutta la sua sorprendente “bellezza” e indiscussa funzionalità nell’antico evolversi  dell’ ”aquilanità”, ora affievolita (per fortuna non scomparsa) dal forte tremore sismico di cinque anni fa.

Fu esaltante l’accoglienza che alla fine del Cinquecento le genti dell’Aquila riservarono, dopo aver attraversato Porta Barete,  alla loro “Governatrice perpetua”, madamaMargherita d’Austria, dalla quale attesero il riscatto dall’immiserimento dovuto alla “lunga notte spagnola”, seguito ai secoli d’oro precedenti. La morte di Margherita, però, frustrò quel riscatto, anche se la stessa Governatrice ebbe il merito, con le Cascine dove venivano allevati e quindi venduti i grandi animali (mucche, etc.), di aver in qualche modo integrato notevolmente l’economia locale. Ed è dopo aver superato quella porta che i suoi illustri ospiti rendevano omaggio alla figlia di Carlo V,  la Donnapiù importante, conosciuta ed ammirata nell’Europa del tempo.

Quel percorso, miseramente occultato totalmente nel secolo scorso, fu, dunque, l’asse portante della città e della sua “gelosa indipendenza civica” che oggi assume, così come è stata riproposta, il valore di simbolo della “città nova, ma antica” che si va delineando con il rialzarsi dalle ceneri del sisma del 2009.

La si ripristini, allora, senza ledere gli interessi di chicchessia, prendendo ad esempio, anche se di più ampia portata, il “caso del Teatro Marcello (in Roma) che fino ad una certa altezza è dello Stato, più su è del Comune e in cima è dei privati, pur formando un unico e inestricabile monumento”.

La ricostruzione della Porta Barete è dunque possibile (anche perché, secondo molti, sarebbero disponibili i fondi necessari), ed anzi è auspicabile perché la città abbia un volto più bello “là dov’era e com’era”, per ritrovare, nella sua dolorosa diaspora, la profonda “anima aquilana”.

 

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