La forza e la reazione del dignitoso popolo abruzzese. Quando nel 1985 Marisa Bellisario elogiava la “flessibilità e la polivalenza” dell’Aquila:”Più possibilità di lavoro di Milano”

11 Ottobre 2013
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di Domenico Logozzo

La caparbietà degli abruzzesi, la capacità di trovare soluzioni positive  nei momenti più difficili. Lottare, non gettare la spugna. Mai. La non arrendevolezza  è nel dna di un popolo che ha sofferto molto e che nelle situazioni più complesse ha saputo trovare la giusta via d’uscita. Riscatto dall’ emarginazione ed affermazione delle idee innovative. Progetti fattibili, con  il costante sostegno dell’ottimismo della volontà. “ Gli abruzzesi sono proverbialmente pratici”, scriveva Corrado Alvaro  nel 1938. E una nuova e autorevole conferma veniva nel 1985 da Marisa Bellisario, torinese, quarantenne al  vertice dell’ Italtel, da alcuni definita il «manager più duro» d’Italia, da altri invece «faccia d’angelo e pugno di ferro“ . Considerata unanimemente “la primadonna dell’informatica italiana”, aveva infatti elogiato la capacità degli aquilani  nel  trovare un nuovo lavoro dopo aver dovuto  lasciare  l’Italtel per effetto  dei pesanti tagli occupazionali. Sottolineava che “i due terzi di chi ha un nuovo lavoro, operano in settori e attività completamente diversi da quelli Italtel: questa è una indicazione di flessibilità e polivalenza”. Alvaro aveva ragione. Gente pratica, che si adegua alle mutate esigenze del mercato.

Dopo 28 anni, a L’Aquila è stato il manager della Fiat, Sergio Marchionne, abruzzese, emigrato a 14 anni con i genitori in Canada, a mettere in evidenza la forza di reazione del dignitoso popolo d’Abruzzo: ”Non l’ho mai visto aspettare che arrivasse un salvatore da chissà dove a regalargli un domani migliore. Gli abruzzesi cadono e si rialzano da soli, non perdono tempo a lamentarsi, ma fanno, producono, ricostruiscono. Credo che questo sia l’atteggiamento di cui ha bisogno l’Italia oggi”. L’Abruzzo del fare. Marisa Bellisario e Sergio Marchionne in epoche tanto lontane, ma così vicine per i vecchi e nuovi problemi ancora irrisolti,  hanno fatto emergere i buoni esempi dall’Abruzzo. Innovazione e proposte costruttive. Non lamentazione continua, come purtroppo avviene in regioni come la Calabria, che negli anni Cinquanta  condivideva con l’Abruzzo tanti tristi primati: povertà, sottosviluppo, analfabetismo, disoccupazione, fuga dalle campagne, emigrazione di massa. Oggi non è più cosi’. Gli abruzzesi hanno saputo costruire il loro futuro. I calabresi no. Hanno aspettato e aspettano la “manna dal cielo”. In queste condizioni prospera l’assistenzialismo parassitario . Che è una vergogna  senza fine. E la Calabria diviene sempre di più il Sud del Sud dell’Europa.

La Bellisario , morta purtroppo prematuramente a causa di un male incurabile, in un convegno del 1985, dove si parlava del “Progetto lavoro”, aveva  fornito i dati di una ricerca che era stata fatta  “per  studiare la scelta tra cercare una nuova occupazione o restare a casa, che hanno fatto le 7.000 persone uscite volontariamente dall’azienda negli ultimi quattro anni per prepensionamenti o dimissioni incentivate”. Ricordava  che “il totale delle uscite è stato di 9.000 unità e che gli altri duemila hanno lasciato la Italtel per continuare a lavorare in altre aziende del Gruppo STET. La ricerca è stata affidata all’ Istituto Superiore di Sociologia di Milano e ha riguardato un campione significativo  a Milano e all’Aquila, due realtà molto diverse dal punto di vista sociale e delle opportunità occupazionali”. Veniva così fuori un risultato che nessuno si aspettava, a partire soprattutto dalla stessa manager, che rivelava: “La ricerca indica un dato sorprendente: all’ Aquila sembrano esserci più possibilità di lavoro che a Milano. Il 35 per cento degli intervistati all’Aquila ha un nuovo lavoro, contro il 25 per cento a Milano: la media complessiva è del 29 per cento. Gli uomini che hanno trovato lavoro sono il triplo delle donne; il 40 per cento della nuova occupazione è in attività in proprio: soprattutto a L’Aquila sembra elevata la percentuale di donne che lavorano con il marito o altri parenti in attività commerciali artigiane”. E ancora : “Da notare che il nuovo lavoro è stato cercato e trovato attraverso contatti personali: nessuno ha dichiarato di avere utilizzato le strutture di collocamento. Mi sembra interessante anche il dato che indica come i due terzi di chi ha un nuovo lavoro, operino in settori e attività completamente diversi da quelli Italtel: questa è una indicazione  di flessibilità e polivalenza”. L’Aquila guardava avanti. Non è stata però molto fortunata. L’Italtel ha chiuso. Tante altre grandi industrie non ci sono più. Una crisi difficile. Desertificazione industriale. Ma gli aquilani che negli anni Ottanta hanno fatto meglio dei milanesi sono un bell’esempio. Da sottolineare ancora oggi. Lezioni importanti.

Come quelle che ci ha lasciato in eredità Marisa Bellisario, che ripeteva spesso: ”E’ necessario riscoprire il gusto del rischio e insegnarlo ai giovani e anche alle donne, in una scuola diversa e più moderna”. Ma oggi a L’Aquila purtroppo anche la scuola sta vivendo un momento molto difficile a causa dei ritardi nella ricostruzione dopo il terribile terremoto del 6 aprile 2009. Mercoledì gli studenti hanno manifestato  per richiamare l’attenzione sul profondo disagio che stanno vivendo. E l’hanno scritto in una accorata lettera alla città. Questo il testo abbastanza significativo di una amarezza collettiva, che non vuol essere una resa, ma una ferma protesta: “E’ la prima volta che l’intera comunità scolastica aquilana si riunisce per gridare il proprio disagio, che supera ogni divisione politica e sociale e riunisce tutti gli istituti, tutti gli studenti, tutti i ragazzi dietro la bandiera Nero Verde. E’ il disagio di una classe giovanile che non riesce a ripartire dopo quattro anni dal terremoto. Che è destinata a scappare. E’ il disagio di chi si sente costretto ad abbandonare L’Aquila dopo anni di desolazione, proteste mai ascoltate e promesse bugiarde. Dopo quattro anni la nostra città (cioè chi l’amministra) si ostina a non offrire appoggio ai giovani. E per ricostruire un tessuto sociale sfibrato non bastano i pochi bar del centro dove i ragazzi si riuniscono (come facevano un tempo nei centri commerciali) il giovedì e il sabato. Non possiamo “vivere” la città due giorni la settimana e ritornare poi nel nulla . Stiamo chiedendo un’alternativa, stiamo chiedendo ascolto, stiamo chiedendo un luogo dove sia possibile riunirsi e organizzare le attività. I fondi ci sono, devono essere utilizzati per quello per cui sono stati stanziati. Miglioriamo i servizi, potenziamo il collegamento tra università e scuole superiori e soprattutto chiediamo un adeguamento secondo normative e leggi delle strutture scolastiche che ci tuteli favorendo la sicurezza ed evitando il sovraffollamento. E’ una necessità. A meno di voler rendere L’Aquila una città fantasma entro pochi anni. L’Aquila è candidata a capitale della cultura per il 2019. Cosa abbiamo intenzione di offrire se non un museo di macerie?”

I ragazzi dell’Aquila,debbono essere ascoltati. Sostenuti. Non  devono essere costretti ad andar via .Credono fortemente  nella rinascita . Lottano per  una società migliore e una  scuola effettivamente in grado di rispondere alle loro esigenze . Quella scuola  “diversa e moderna” auspicata da Marisa Bellisario quasi trenta anni fa!

Domenico Logozzo

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