Pietro Zullino, il cronista che svelò le trame politico-mafiose palermitane, raccontato nel libro della memoria

28 Giugno 2013
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di Domenico Logozzo

 

Se oggi in Italia abbiamo la Commissione parlamentare antimafia, questo lo si deve al giornalista e scrittore Pietro Zullino, che nel 1962 sul quindicinale fiorentino Politica denunciò le collusioni tra esponenti della Dc e criminalità organizzata. E la politica fu costretta a prendere una decisione che aveva rinviato per troppo tempo. Giornalismo di qualità. Informazione-denuncia. Altro che bavaglio! E’ stata una delle tante inchieste di Zullino che oramai fanno parte della storia d’Italia.Tolti i veli. L’antimafia dei fatti, non quella parolaia. Sotto accusa i potenti “mammasantissima” della politica e della criminalità organizzata. A un anno e mezzo dalla morte viene ricordato con il libro della memoria: “Pietro Zullino, una vita per la scrittura”, curato dallo studioso Gianfranco Giustizieri e pubblicato dalla storica casa editrice Carabba di Lanciano. ”Una vita senza compromessi, dedicata all’esame di altre realtà oltre al già noto, alla ricerca di ulteriori verità possibili oscurate dai giochi del potere in ogni tempo e in ogni luogo, alla denuncia sociale del malaffare mafioso e della politica insieme”, sottolinea Giustizieri nella prefazione. Giornalismo, storia e letteratura. Un lungo e appassionante racconto a più voci, attraverso le testimonianze di chi Zullino l’ha conosciuto molto da vicino. Tredici firme autorevoli hanno disegnato la figura di un grande personaggio  “fuori dal coro”. Perciò scomodo. Sempre. Fino alla morte.

 Nel 1973 la sua ”Guida ai misteri e ai piaceri di Palermo” (SugarCo editore), fece molto scalpore. Perché ? 

Alla fine del 1974 – ci risponde Gianfranco Giustizieri – la seconda edizione del libro era già esaurita e questa annotazione rivela il successo e l’attenzione che il libro suscitò. Se aggiungiamo che con la seconda edizione alcuni “legami” individuati da Zullino tra mafia e terrorismo dinamitardo trovarono clamorosa conferma e legarono idealmente l’eccidio di Portella della Ginestra (1947) alla strage del treno Italicus (1974), possiamo affermare che “Guida ai misteri e piaceri di Palermo “ fu un libro politico in cui l’autore ha dimostrato il lungo cammino della mafia ed il suo inserimento nei gangli vitali dello Stato. Cammino partito da molto lontano che trovò un suo primo riconoscimento, quasi notarile, nel 1834, con la lettera dell’allora Procuratore generale Pietro Ulloa al Ministro borbonico della Giustizia, definito da Zullino il miglior documento giunto fino a noi dopo centoquaranta anni di saggistica e d’inchieste parlamentari. Nell’esaminare alcuni fatti siciliani così scriveva il Procuratore: “Vi ha in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete … Molti alti magistrati coprono queste fratellanze di un’egida impenetrabile … In questo umbelico della Sicilia si vendono gli uffici pubblici, si corrompe la giustizia”. Da allora, nello scorrere le pagine del libro, una continua crescita di malaffare sino al caso del giornalista Mauro De Mauro; l’autore segue con una gustosa rilettura le storie di Palermo, sempre attento ad evidenziare, anche ironicamente, quel primato invisibile esercitato dalla mafia sugli uomini, sia semplici cittadini che boiardi dello Stato, sebbene il Potere si affannasse a spiegare con ogni mezzo che “l’onorata società non esiste se non nei romanzi d’appendice”.  Il libro di Zullino fu la negazione di quell’affermazione ed il clamore fu grande soprattutto tra le persone che contavano ed i diversi centri di potere e d’interesse. Le attuali inchieste della Magistratura sui rapporti tra la mafia e lo stato confermano l’attualità, dopo quasi quarant’anni, di questo libro straordinario”.

 Cronista di razza, dentro i misteri siciliani: da Salvatore Giuliano, alla morte di Enrico Mattei fino alla scomparsa del giornalista de L’Ora Mauro De Mauro. Fu citato come testimone nell’aprile 2007 nel processo che si è poi concluso con l’assoluzione di Toto’ Riina. Zullino venne incriminato con altri due giornalisti per dichiarazioni reticenti e contraddittorie, volte al depistaggio. Gliene ha parlato qualche volta?

 “No. La sua riservatezza, accompagnata da una fede consapevole nella giustizia, gli impediva di parlare di fatti che lo riguardavano personalmente. Nel libro “Pietro Zullino, una vita per la scrittura” c’è il capitolo di Amedeo Lanucara che fa chiarezza su questo episodio”. E infatti, andando a pag. 64 del volume, troviamo il capitolo “Profonda amarezza”. Lanucara scrive: “Il best-seller campioni di vendite, politically incorrect e feroce contro la mafia, invece del Pulitzer, regalò allora a Pietro una caterva di guai, tra livide polemiche, minacce personali, querele dissoltesi nel nulla. E di recente, dulcis in fundo, gli amareggerà gli ultimi giorni con un’incomprensibile apertura di procedimento penale, legato proprio al libro. “Si mette in dubbio, perdio!, la mia onestà e correttezza professionale!”.(…) “E’ da non crederci”, mi disse furibondo. “Si assolve il Padrino, perché nel 1970 non era al vertice del Clan! E che era? Un boy-scout? Per non confessare poi che il processo approdava a ben poco, e che quel poco (altro che depistaggio!) l’avevo già scritto io, si getta fumo negli occhi, rinviando a giudizio tre reporter”.(…) “Io allora rivelai, pressoché da solo e tra improperi di ogni tipo, che il De Mauro fu incaricato dal regista Francesco Rosi di una indagine sulla morte di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni ucciso nell’ottobre del 1962 da una bomba nascosta nel suo aereo, partito da Catania ed esploso nel cielo di Bascapé, mentre atterrava a Linate. Rosi cercava qualcosa di eclatante per il film sull’argomento, in fase di lavorazione”(…)”. Forse la responsabilità delle Sette Sorelle per l’aggressiva espansione petrolifera di Mattei, o forse un intrigo dei Servizi per la sua politica estera, propensa ad una nostra svolta neutralista, che il Pci avrebbe visto con favore. O forse il connubio tra le due ipotesi di cui sopra. E qualcosa di eclatante aveva davvero scoperto il De Mauro che la mafia gli chiudesse la bocca  per sempre. Nel frattempo le Grandi Gazzette, proprio come per Ustica, si baloccavano ancora con tesi consolatorie del cedimento strutturale del velivolo o malore del  pilota. Ipotizzai anche i possibili mandanti dell’affair in tre figuri della Dc affaristica siciliana, indicati allora con tre pseudonimi per minimizzarmi noie giudiziarie. Uno di essi era il senatore della Libertas Verzotto, testimone di nozze del mammasantissima Di Cristina, amico di Lucky Luciano e di Sindona. Beh, quel Verzotto sarebbe il mandante indicato dalla sentenza. Che concorda con me persino nel tentativo di screditare De Mauro, tramite un pilotaggio negativo della pubblica opinione. Dov’è dunque la reticenza, o la contraddizione, o il depistaggio? Gliela farò vedere io nel dibattimento! Dovranno rimangiarsi tutti e restituirmi la dignitas, come già mille altre volte, con le denunce temerarie di diffamazione a mezzo stampa”. Purtroppo un male crudele se l’è portato via.

 Grande fiuto e grande sensibilità. Fu lui a far diventare un caso nazionale il “gran rifiuto” di Franca Viola, la coraggiosa ragazza siciliana che infranse le vecchie e umilianti regole della sottomissione alla prepotenza degli uomini. Disse no al “matrimonio riparatore” e fece condannare il violentatore. ”Epoca”, il giornale per il quale allora scriveva, fu al fianco della ragazza. In che modo?

 “Zullino, da grande giornalista – ci risponde Giustizieri -, difficilmente sbagliava e sapeva valutare le notizie anche quelle che ad una prima lettura potevano apparire insignificanti. In un trafiletto di un giornale siciliano, mi sembra “L’Ora” di Palermo, nel gennaio del 1966, relegato nella pagina di cronaca locale, veniva riportata la notizia di una giovanissima donna di Alcamo, ribellatasi al matrimonio riparatore, infrangendo così un atavico e barbaro costume. Infatti la ragazza, Franca Viola, rapita e violentata da un giovane mafioso locale, Filippo Melodia, fingendo di acconsentire alle nozze riparatrici e con l’appoggio coraggioso della sua famiglia, aveva denunciato il Melodia facendolo arrestare. Un caso emblematico dell’emancipazione della donna, ancora prima delle battaglie femministe degli anni successivi. Pietro fiutò il valore di quel trafiletto e si schierò a fianco della Viola con una serie di servizi che attirarono l’attenzione della stampa nazionale ed internazionale. Anzi fece di più convincendo la Direzione di “Epoca” ad assumere la difesa della ragazza tramite l’avvocato Alberto Dall’Ora, un principe del foro milanese. Il processo si tenne nel dicembre del 1966, Filippo Melodia venne condannato a undici anni di reclusione, Franca Viola ebbe il riconoscimento del suo diritto all’autodeterminazione facendo a pezzi l’articolo 544 dell’allora codice penale che permetteva di estinguere il reato di violenza carnale con il cosiddetto matrimonio riparatore anche ai danni di minorenne. Fu un caso nazionale conosciuto in tutto il mondo ed un esempio di giornalismo illuminato e rigoroso”.

 Sempre con la schiena dritta. Non si è mai piegato ai voleri dei potenti. Fu traumatica la rottura con “Epoca”.  Non accettò ingerenze politiche. Cosa lo spinse ad andar via?

 “Si era al tempo del referendum sul divorzio. Il 12 maggio 1974 si votò per la richiesta di abrogazione della legge Baslini-Fortuna che dal dicembre 1970 aveva reso più facile il divorzio in Italia, seppure in casi limitati. La campagna referendaria fu molto dura, da una parte la Chiesa e le forze conservatrici guidate dalla Dc di Amintore Fanfani, dall’altra parte i partiti politici che avevano voluto fortemente la promulgazione di una legge che metteva il nostro Paese in condizioni di parità legislativa e libertaria con altri paesi europei. Quasi il 60% dei votanti si espresse contro l’abrogazione della legge. Ad urne chiuse Zullino intervistò Fanfani, ma l’editore e la direzione di “Epoca” esigevano modifiche per convenienza politica ed in omaggio ai vincitori della campagna referendaria accusando Pietro di essere stato troppo indulgente con il segretario della Dc. Zullino non accettò nessun compromesso, rifiutò di modificare quell’intervista e si dimise senza piegare la testa”.

  Altra “rottura” quella con Achille Lauro, che al 38enne Zullino aveva affidato la  direzione del quotidiano “Roma”. Quindici mesi e poi l’addio. Sul “Comandante” scrisse successivamente un libro. Qual è la fotografia dell’Italia e del potere politico che ne viene fuori?

 “Natura ribelle, mai soddisfatto delle verità rivelate, non avvezzo ai compromessi né agli ordini che potessero incrinare le regole attinenti la professione, il rapporto con Achille Lauro non poteva durare. Infatti resistette alla direzione del quotidiano “Roma” poco più di un anno, il 1975, poi mollò sbattendo la porta. L’anno successivo, per le edizioni SugarCo, uscì il suo libro “Il Comandante “ dove ci consegna un profilo nitido del personaggio, senza rancore, raccontando gli avvenimenti politici in cui Lauro fu coinvolto e lasciando emergere l’umanità che la Napoli del tempo gli riconosceva. L’ottimo capitolo di Alfredo Fiorani nel libro su Pietro, dove l’autore rilegge “Il Comandante”, fa il quadro dell’Italia del tempo. Un paese che faticava ad uscire dal dopoguerra, dalle difficoltà economiche enormi, con un clientelismo esasperato e segnato da una classe politica inadempiente. Una nazione dove i poteri forti impedivano con ogni mezzo la nascita di nuove realtà che potevano ostacolare o rimuovere situazioni consolidate ed usavano ogni mezzo per fronteggiare eventuali pericoli. Un’Italia dove le pressanti richieste sociali del meridione, di cui Lauro, a modo suo si era fatto portavoce, rimanevano inespresse, cancellate dai giochi di potere della classe dirigente nazionale”.

  Grande cultura e forte impegno letterario. Ci lascia una bella eredità. Tra gli scritti qual è quello che più si avvicina all’attualità e dà indicazioni per il futuro?

 “Mi è molto difficile rispondere a questa domanda. Infatti gli scritti di Zullino sono emblematici per due motivi: non accettare mai le verità “rivelate” e consolidate e la capacità di andare oltre la notizia per scovare altre realtà che la storia ufficiale ha oscurato. In questo modo la lettura diacronica dei suoi scritti ci spinge molto in avanti rispetto ai tempi ed ai personaggi esaminati e ci fa scoprire vizi e virtù senza tempo. I libri di Pietro aiutano il lettore a capire le vicende macchinose e complicate della storia e dei suoi personaggi per cui Properzio, in “Cinzia con i suoi occhi”, già maltrattato dalla critica storica, esce dal libro come un personaggio tragicamente moderno nella sua insicurezza ma non sottomesso alle convenzioni di un potere rassicurante, oppure Ippocrate, in “Io, Ippocrate di Kos”, padre della medicina osannato e contestato, è un combattente per la vita umana ma comprensivo per un attracco volontario alla “buona morte”.  Oserei dire che tutti i libri di Zullino sono così indicativi: invenzioni narrative come contrappasso al potere della storia ufficiale per una comprensione della storia di oggi”.

 Zullino è stato molto vicino a Laudomia Bonanni e ha fatto di tutto per valorizzarne la memoria. Tra i fondatori dell’Associazione Internazionale di Cultura intitolata alla scrittrice, è grazie alla sua appassionata azione se qualche mese fa si è realizzato il sogno americano di Laudomia. Pubblicato negli Stati Uniti il romanzo “La rappresaglia”. La traduzione, con il titolo “The Reprisal”, è stata curata da Susan Stewart e Sara Teardo dell’Università di Princeton (Usa). Lei, Giustizieri, che è uno dei maggiori esperti dell’opera bonanniana, ha vissuto intensamente questa vicenda culturale. Proseguendo sul cammino tracciato da Zullino, qual è il prossimo traguardo che vi proponente di raggiungere con gli altri soci fondatori?

 “La mia amicizia con Pietro è nata dalla volontà comune di riportare all’attenzione della critica e dei lettori la figura e l’opera di Laudomia Bonanni. Da qui si è consolidato un rapporto più ampio e vario. Zullino diceva che tanto vasto e penetrante è stato lo sguardo gettato da Laudomia sulla condizione umana da lasciare un’eredità interpretativa a critici e studiosi per l’esame di una Bonanni della filosofia. Dopo la sua lettura, la mente si allarga ed il sentire si fa più aperto. I suoi romanzi erano eversivi, Laudomia considerava lacunosa, tragicamente maschilista e fortemente equivoca molta parte della cultura prodotta dall’uomo. Parole impegnative che sono per noi quasi un testamento. Due romanzi ancora inediti, la ristampa dell’opera omnia, le parole di Pietro … la strada è tracciata”.

 

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LA PRESENTAZIONE A ROMA

Roma, 24 giugno – Pomeriggio intenso, emotivamente forte, alla Casa delle Letterature di Roma per la presentazione del libro – curato e voluto dallo studioso e scrittore aquilano Gianfranco Giustizieri –  “Pietro Zullino, una vita per la scrittura”, per le edizioni Carabba di Lanciano. Liliana Biondi, Marco Nese e Gianfranco Giustizieri, in una sala gremita di donne e uomini della cultura provenienti anche da fuori della città capitolina, hanno ripercorso l’itinerario umano e professionale di Pietro Zullino, maestro del giornalismo italiano, scomparso nel gennaio del 2012, attraverso le pagine del volume a cui quattordici scrittori (Colacito, Falconi, Fiorani, Gargiulo, Garzia, Giustizieri, Graziani, Harrison, Jori, Lanucara, Mariani, Samaritani, Simonetti, Tocci), in un itinerario di memoria tra giornalismo, storia e letteratura, hanno dato il loro contributo.

 La Biondi, docente di Letteratura Italiana nell’Università degli Studi dell’Aquila, con puntuale rigore scientifico, ha messo in luce i diversi passaggi di scrittura rileggendo il giornalista dalle capacità immediate di intuizione e di risposta, l’interprete profondo di una società in trasformazione, lo scrittore di un passato da noi lontano ma in realtà molto vicino. Marco Nese, penna illustre de “Il Corriere della Sera”, ha ricordato l’amico, la vita professionale in comune, la natura ribelle, mai soddisfatta delle verità rivelate, fuori da ogni conformismo, perennemente critica di fronte alle volontà di ogni potere. Gianfranco Giustizieri, curatore del libro, ha tratteggiato un rapporto di amicizia, di studio e di lavoro relativamente breve nel tempo ma intenso nella sostanza e cementato dal desiderio comune di togliere dall’oblio una scrittrice da non dimenticare: Laudomia Bonanni. L’attrice Tiziana Gioia, con incomparabile professionalità ed emozionando il pubblico presente, ha dato voce a passi significativi dell’opera di Zullino, con letture tratte da pagine storiche di quotidiani e riviste alternate a brani di liricità fortemente espressiva, senza trascurare un pezzo di fanciullesca scrittura indirizzata, per un momento particolare, a piccoli lettori. La solennità del Palazzo della Casa delle Letterature, l’ampiezza degli spazi culturali, le soffuse luci del tramonto e l’arrivo del ponentino romano per chiudere la serata, hanno costituito la degna cornice di
questo evento. (Gianfranco Colacito – direttore InAbruzzo.com)

 

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PIETRO ZULLINO, nato a Torino il 16 giugno 1936 e deceduto a Roma il 4 gennaio 2012, trascorse parte della sua infanzia in lontani paesi perché figlio di insegnanti nelle scuole italiane all’estero. Tornò in Italia nel 1943 dove frequentò il liceo e si laureò in legge. Nella seconda metà degli anni ’50 iniziò a lavorare all’ANFE (Associazione Nazionale Famiglie Emigrati) e come segretario di redazione a «La vela» entrambi fondati dalla zia Maria Agamben Federici, deputata aquilana alla Costituente e nella prima legislatura. Dopo continue collaborazioni con alcune riviste italiane, nel 1963 divenne giornalista professionista e da allora il suo percorso fu costellato da continue affermazioni con inchieste che fanno parte della storia del giornalismo italiano. Percorse tutta la carriera, da inviato a capo della redazione romana di «Epoca», dalla direzione della rivista rusconiana «Il Settimanale» fino ad essere direttore di uno tra i più antichi quotidiani italiani «Roma». Tenne infine la direzione de «Il Carabiniere» (mensile dell’Arma) con il preciso incarico di trasformarlo da house organ in una grande rivista per tutti tanto da portare il numero degli abbonati ad oltre 200 mila. Cultore di storia antica e di lettere moderne, scrittore lucido e straordinario per le maggiori case editrici italiane, Mondadori, SugarCo, Rizzoli, edizioni Rai, Laterza, vincitore di premi diversificati attestanti i suoi molteplici interessi (premio Uisper, premio Valentino, premio Barca d’Oro), appassionato di chitarra classica, di navigazione a vela e di judo, viaggiatore instancabile sempre alla ricerca di nuove esperienze, amò tenacemente la terra d’Abruzzo e le sue montagne. È stato tra i fondatori dell’Associazione Internazionale di Cultura “Laudomia Bonanni” e alla diffusione dell’opera della grande scrittrice aquilana dedicò parte della sua vita.

 GIANFRANCO GIUSTIZIERI, nato a L’Aquila nel1946, ha svolto la sua attività lavorativa nella scuola. Ha avuto diversi incarichi istituzionali con interessi nell’area politica, amministrativa, umanistica e pedagogica. Studioso della cultura letteraria italiana, specializzato nelle Riviste della prima metà del ‘900, da “Leonardo” a “Primato”, con relativo insegnamento universitario come cultore della materia, è autore di diverse pubblicazioni. Attualmente dedica gran parte del suo lavoro alla riscoperta di scrittori abruzzesi del ‘900 e al riesame delle maggiori Riviste nate in terra d’Abruzzo nella seconda metà del XX secolo. Viene considerato tra i maggiori esperti della scrittrice Laudomia Bonanni di cui ha curato la ricostituzione dell’Archivio contenente lettere, documenti personali, foto, recensioni, articoli della stampa italiana e straniera, tutti gli elzeviri, gli inediti, le opere e gli scritti anche quelli considerati introvabili. È uno dei quattro soci fondatori dell’Associazione Internazionale di Cultura “Laudomia Bonanni” nata per la diffusione, la conoscenza e la traduzione delle opere della scrittrice.

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