Da Brancaccio alla Locride. Suor Carolina, l’eredità di don Puglisi e il sorriso della speranza

27 Maggio 2013
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di Domenico Logozzo

In prima linea, nei luoghi dove c’è il disagio sociale. Da Brancaccio alla Locride. Suor Carolina Iavazzo, che è stata al fianco di padre Pino Puglisi fino al 15 settembre  1993, quando a 56 anni  venne  assassinato a Palermo dalla mafia, l’abbiamo conosciuta alcuni mesi fa a Gioiosa Jonica, dove era andata a trovare  i ragazzi del Centro don Milani e dell’Associazione Libera. Una donna semplice. Sorridente. Felice di essere utile ai giovani. Una guida sicura. L’umiltà che fa grandi le persone che credono nei sani valori e si battono in favore degli ultimi. Sempre in terra di mafia. Sulla via tracciata dal parroco che con il sorriso affrontava la violenza delle cosche. E’ stata responsabile del Centro Padre Nostro nel quartiere Brancaccio  e da anni vive nella Locride, dove l’ha voluta il vescovo mons. Bregantini, ora arcivescovo di Campobasso. Ha recuperato tanti ragazzi. Ha messo in piedi una struttura che favorisce la socializzazione e allontana i giovani dalla cattiva strada. Impegno duro. Paziente. Ci dice con orgoglio: “Stiamo facendo un buon lavoro nel Centro Padre Puglisi”.Uno spazio di solidarietà a Bosco Sant’Ippolito, tra Bovalino e San Luca. Il bene per fermare il male. Grande calore umano. Entusiasmo e tanto ottimismo per il futuro. E anche le ragazze e i ragazzi che  erano accanto a lei ci  davano una  bella sensazione di unità di intenti, di serenità, di fiducia. Una conquista importante: la speranza. Ottimismo che abbiamo letto  negli occhi e nei volti di  suor Carolina, dei giovani e delle generose persone che la circondavano d’amore.

I sogni che si realizzano. Quando venne inaugurato il 14 maggio 2009 il parco giochi “Rebecca”, suor Carolina disse: “E’ arrivato un altro grande giorno dopo quello dell’inaugurazione del Centro Padre Puglisi: oggi possiamo benedire questa nuova meravigliosa struttura polisportiva e il grazioso parco giochi “Rebecca” per i più piccoli per questa zona che necessitava da tempo di tali spazi vitali per i giovani. Questo momento di festa lascia a tutti noi un grande messaggio: i sogni si realizzano nella misura in cui ci si crede e vanno a beneficio di tutti! Quando non si realizza per sé tutto diventa grande e vero”.

Vedendola sabato sera in televisione, intervistata da Massimo Giletti nello speciale di Rai Uno dedicato a padre Puglisi, abbiamo  ripensato a quell’incontro di Gioiosa Jonica. Alle sue parole per i giovani. Per gli ultimi. Per chi ha bisogno di aiuto. “Ci sono bravi ragazzi – ci disse -, questa Calabria ha bisogno di attenzione. Ci sono positività incoraggianti. Da far conoscere a livello nazionale. La solidarietà ed il coinvolgimento di quanti possono darci una mano è assai importante. Confido anche nel sostegno dei grandi mezzi di informazione per diffondere la validità di questa struttura messa in piedi a Bosco Sant’Ippolito”. Spazi sottratti al crimine organizzato. I ragazzi prima di tutto. Come diceva padre Puglisi e come suor Carolina ha ricordato in tv sabato sera: “Voleva iniziare dai bambini, perché – diceva – i bambini erano più aperti al cambiamento e alla novità, mentre gli adulti sono oramai strutturati ed è difficile cambiarli”.  Ancora suor Carolina: “Avevamo fatto dei lavoretti con i bambini. Due di loro litigarono. E uno voleva scagliare una bottiglietta addosso all’altro. Io cominciai a dire “non lo fare, anzi chiedi scusa perché sei stato tu il primo a iniziare la discussione”. Intervenne il fratello. E gli disse: “Ricordati che papà non vuole che chiediamo scusa, perché chi chiede scusa non è un uomo”. Mentre io ribadivo e spiegavo: “No, chi chiede scusa è un uomo, una persona importante, una persona perbene. E’ una persona brava. Devi chiedere scusa”. Alla fine il ragazzino, tra me e il fratello, riuscì a chiedere scusa. E tutti quanti gli fecero un applauso. Questa cosa la raccontai a don Puglisi. Lui in dialetto siciliano, come era solito fare, mi disse: “Vero è?”. Si stupì. Io dico: “Non c’è niente da stupirsi”. Per lui invece era questol’inizio di un cambio di mentalità”.

Lezioni di legalità e convivenza civile dove “la mafia si respirava nell’aria in una zona che faceva paura”. E’ ricco di storie sconvolgenti il racconto della suora originaria di Aversa (Caserta), che è  laureata in Pedagogia e in Scienze religiose e appartiene  all’ordine missionario  Sorelle dei Poveri di Santa Caterina da Siena. Era stata chiamata  con alcune consorelle da padre Puglisi  a gestire il Centro d’accoglienza “Padre Nostro” realizzato per fronteggiare le povertà del quartiere Brancaccio. La Chiesa palermitana, dopo l’eliminazione mafiosa di padre Puglisi, avvenuta proprio la sera in cui aveva festeggiato il compleanno, decise nel 1994  di far andare via le suore e di affidare il centro ai laici. Suor Carolina ricorda gli ultimi giorni e le ultime ore di don Puglisi. Non aveva mai accettato di avere la scorta. Sapeva  che oramai la sua sorte era segnata. Non voleva esporre altre persone a morte sicura. “Quella sera un volontario mi chiamo e mi disse: ”E’ morto padre Puglisi”. Andai di corsa all’ospedale. Incontrai il cardinale Pappalardo. Era molto arrabbiato. Chiesi di poter vedere don Pino. Dovetti insistere a lungo. Poi mi accompagnarono in una stanzetta. Era coperto da un lenzuolo.  La testa leggermente piegata sulla spalla destra, il colpo di pistola dietro l’orecchio da cui perdeva ancora sangue. Gli occhi semiaperti, si vedeva ancora il celeste. Un volto sereno”.

Don Pino ha sorriso anche al mafioso che lo uccideva! L’uccisione del parroco di Brancaccio è stata una sconfitta per la mafia. A 20 anni dalla morte e all’indomani della beatificazione, è stato Papa Francesco a sottolinearlo autorevolmente: “Don Puglisi  è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto. Lodiamo Dio per la sua luminosa testimonianza, e facciamo tesoro del suo esempio”. Il Papa ha fatto poi una riflessione sulle vittime di sfruttamenti e schiavitù: “Penso ai dolori di tanti uomini, donne e bambini sfruttati: dietro ci sono sempre delle mafie che li sfruttano, facendo fare loro un lavoro che li rende schiavi”. Quindi l’appello: “Preghiamo perché i mafiosi e le mafiose si convertano. Dietro le schiavitù ci sono tante mafie ma non possono fare di noi fratelli degli schiavi”. Don Puglisi non è morto invano!

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