I NOVE MARTIRI:UNA STRAGE CHE SI POTEVA EVITARE

20 Ottobre 2012
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Qualche giorno fa mi trovavo in centro, mentre passavo in piazza  NOVE  MARTIRI mi è apparsa davanti agli occhi la lapide a posta a ricordo del loro sacrificio ornata con un a corona di alloro, segno di  recente  commemorazione. In quel momento mi  sono venute in mente le parole di mio Padre, morto  qualche anno fa, che aveva vissuto  personalmente questa fosca pagina di storia della nostra città. L’armistizio dell’8 settembre 1943, con i tragici avvenimenti che lo avevano seguito, aveva portato scompiglio  e sbando in tutta  Italia, non aveva risparmiato  la nostra città tranquilla ed ordinata, che in quei giorni era in fermento per l’arrivo delle truppe tedesche odiate e temute. Disordine, paura e soprattutto un cambio repentino  del modo di vivere, avevano  turbato la vita e le abitudini degli aquilani  che non tolleravano  gli invasori. Fu in questo clima che un  gruppo di giovani, non ancora ventenni provenienti sia dalla scuola  che dal mondo del lavoro, decise un‘azione di rappresaglia rifiutando  di rispondere  alla richiesta  dei tedeschi di  presentarsi presso la Caserma per lavorare. Il gruppo dei ragazzi armato solo dell’amor di Patria  e dell’entusiasmo  dovuto all’età, decise di salire in montagna nella zona che porta da S. Sisto a Collebrincioni, armati  con poche munizioni fornite  dal padre di uno di loro, ufficiale  dell’esercito. Erano  circa una ventina, allegri  e  ben affiatati, tutto doveva  svolgersi  perfettamente. Forse qualche  parola di troppo da parte di qualcuno, o l’Ovra ,ancora imperante che  continuava   a controllare in silenzio la vita in casa e al lavoro dei cittadini, ed anche i loro pensieri, o persone vili e prive di scrupoli, fecero sì  che alle prime luci  dell’alba del 23 settembre, le truppe tedesche  raggiungessero  Collebrincioni  e catturassero  senza il minimo scrupolo una parte dei ragazzi (alcuni erano riusciti a fuggire).  A  questo punto  mi riallaccio al racconto di mio Padre, che ricordava  quella mattina ancora quasi estiva, quando i tedeschi che piantonavano il Laboratorio d’Igiene del  quale era Direttore  parlavano fitto fitto tra di loro come se fosse accaduto o dovesse accadere qualcosa di grave. Poiché conosceva  discretamente la lingua tedesca, capì che  non  tutto andava per il giusto verso. Nei giorni successivi  non  ci furono notizie di questi ragazzi né dei gruppi partigiani che avevano preso dimora nelle montagne vicine alla città, circolavano voci di vario genere , era però difficile avere  informazioni, vista la poca libertà  di esprimersi e la pesante presenza dei tedeschi dovunque. Mio padre  ha sempre sostenuto  che circolavano  varie voci sulla sorte di questi giovani: chi li  sapeva nell’entroterra teramano, chi sulla costa laziale nei pressi di Roma, la  verità era  un’altra  i poveretti si trovavano a pochi passi: fucilati senza nessuno scrupolo  presso le Casermette (oggi  Caserma Pasquali – Campomizzi), giacevano nel terreno  dietro di essa  in due fosse  comuni.  Ha sempre tra l’altro affermato  che da parte sua non era ottimista, diffidava dei tedeschi, dei repubblichini e soprattutto  delle molte “ talpe” che allora abbondavano in città.  Chi sapeva  non poteva parlare, e le voci correvano continuamente. Gruppi  di persone intanto si recavano a pregare nelle  chiese  cittadine, e da parte dell’allora  Arcivescono  Mons. Confalonieri  fu  organizzata  una marcia di preghiera al santuario di  Roio, alla quale partecipò un grande folla, ivi compresi  i miei genitori. I mesi passarono  ed il mese di Giugno 1944, con la liberazione della città presentò la realtà in tutta la sua crudezza: i ragazzi, fucilati, erano sepolti presso le  Casermette (sono ancora visibili i segni dei proiettili nel muro antistante). A questo punto non posso  non ricordare  la frase  di mio  Padre : si poteva  fare, ma non è stato fatto, a suo giudizio infatti, non c’era stato un intervento  forte da chi ne aveva  la possibilità:  alti  prelati ed ufficiali  della  Milizia,  visto che era riuscito   a salvarsi soltanto un giovane in quanto figlio  della domestica  che era alle dipendenze proprio di un generale della Milizia (da Lui non stimato), e l’altra frase …” o tutti o nessuno”. La sua condanna  nei confronti di tali comportamenti era grandissima, e rafforzava  l’odio che aveva nei confronti dei tedeschi. Ricordava il solenne funerale, con tanti bambini  vestiti  di bianco, miriadi di persone di ogni età e ceto sociale, il risuonare delle note  del Coro del Nabucco suonato dalla banda militare, e quelle povere  mamme, distrutte  dal  dolore che non avrebbero mai più rivisto i loro ragazzi. La strage poteva e doveva essere  evitata, come  aveva sempre sostenuto, anzi  ricordando  la cerimonia  di inaugurazione  del  Monumento loro  dedicato  alla quale aveva partecipato in veste di consigliere Comunale, eretto presso il cimitero, sottolineava il termine “giovinetti “, condannando chi li aveva  mandati a morire, senza far nulla. Non posso  fare a meno   di  riflettere  su  quelle  parole , tanto più che ho avuto l’occasione di conoscere  personalmente Maria Pia,  sorella  di Bruno d’Inzilllo, che ricordava  con terrore  l’incubo  di quei  giorni. Dal canto mio, pur  essendo nata quando la guerra era finita da tempo, non  posso non  condannare  quei  potenti, che non sono  stati tali  nei confronti  di quei giovani poco più che fanciulli, repentinamente  strappati  dai  fucili nemici alla loro giovinezza.
L’Aquila 19.10.2012

Daniela Citerni

 

 

 

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