8 SETTEMBRE 1943. LE RESPONSABILITA’ DEI VERTICI

15 Ottobre 2012
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Ho letto con particolare interesse l’articolo relativo alla presentazione del libro “UNA GUERRA A PARTE. I militari italiani nei Balcani 1940 – 1945″.
In merito segnalo che esistono corpose pubblicazioni edite nel 1994 dalla Rivista Militare e redatte nell’ambito dell’attivitĂ  della Commissione per lo studio della Resistenza dei Militari Italiani all’estero dopo  l’8 settembre 1943; tale Commissione fu nominata dal Ministro della Difesa il 2 gennaio 1989. Esistono anche altre pubblicazioni edite dall’Opera Nazionale per i Caduti senza Croce tra le quali mi piace ricordare ” Quelli delle Ionie e del Pindo ” a firma di Vincenzo Palmieri edita nel 1985 e relativa alle vicende delle Divisioni ACQUI e PINEROLO.

Da questi testi, ufficiali e non, emerge con particolare evidenza la colpevole inerzia delle massime autoritĂ  politico/militari in carica dopo il 25 luglio 1943 (il Re e Badoglio) i quali, come documentato anche nel libro ” Roma 1943″ di Paolo Monelli edito nel 1944 dalla Stamperia del Senato, erano bloccati dal terrore della reazione dei tedeschi ed unicamente interessati alla salvezza propria e della famiglia. Ma ancora di piĂą colpevoli, anche se non sufficientemente accusati delle loro azioni, furono i massimi vertici militari dello Stato Maggiore Generale (Ambrosio) e dello SM del Regio Esercito (Rossi).
Mentre per i primi la fuga dell’8 settembre, anche se a fatica, può essere ricondotta alla ragion di Stato per non far cadere nelle mani del nemico i rappresentanti della Nazione e quindi non riconoscerne la totale dissoluzione, per gli altri non esiste alcuna giustificazione in quanto professionisti preparati e pagati proprio per intervenire in quella situazione.

In definitiva l’unica spiegazione alla dissoluzione improvvisa delle Forze Armate l’ 8 settembre 1943 può ricondursi alla vigliaccheria scaturita dalla paura fisica che ingigantisce via via che aumenta il grado e la responsabilitĂ  gerarchica. Le poche, tardive e confuse comunicazioni, a partire dal proclama letto da Badoglio e le successive provenienti dagli Stati Maggiori giĂ  a Brindisi il 9 settembre, non hanno fatto altro che confondere le idee anche ai pochi Comandanti, tra i quali il Gen. GANDIN, intenzionati a salvaguardare l’Onore Militare.
Nessuna attivitĂ  fu svolta per assistere, indirizzare e coordinare in quella difficile situazione,  peraltro creata volontariamente dall’ambiguo comportamento dei Vertici preoccupati solo
della propria incolumità,  per cercare di prepararsi un sicuro rifugio ed un alibi nei confronti dei tedeschi.
Con queste premesse i Militari Italiani all’estero di colpo divennero se possibile ancora piĂą invisi contemporaneamente ai tedeschi, agli alleati ed ai partigiani proprio come avvenuto nei Balcani e nelle isole dell’Egeo.

I tedeschi,  e se ne possono comprendere le ragioni dal loro punto di vista, senza giustificarli, li consideravano traditori e banditi perché non ufficialmente in guerra contro la Germania.
Gli alleati visto il comportamento della nostra classe dirigente, non facevano alcun affidamento sui nostri militari,e anche loro avevano le loro buone  ragioni  (ricordo che il Generale Taylor, il 7 settembre a Roma, rimase talmente disgustato dal comportamento tenuto da Badoglio e dai vertici militari che interruppe il decollo della 82^ Divisione Airborne, il cui obiettivo era l’occupazione degli aereoporti di Roma, e costrinse Badoglio ad anticipare all’ 8 settembre la lettura del proclama, previsto originariamente per il 12).
I partigiani non scordavano il passato  non si fidavano e, con la stessa ferocia dei Tedeschi, spesso colpivano a tradimento per impossessarsi dell’armamento pesante al duplice scopo di poterlo utilizzare ed evitare che i Militari Italiani potessero rimanere una forza in grado di difendersi autonomamente.

 In sostanza tutti i Militari Italiani all’estero furono consapevolmente abbandonati  senza alcuna direttiva per timore che i tedeschi potessero accorgersi prima dell’8 settembre di quello che bolliva in pentola: la stessa famosa Direttiva R44 non solo era confusa, per quello che se ne sa, ma era indirizzata ai gradi piĂą alti con l’ordine perentorio di distruggerla appena letta per non lasciare tracce, specie il nome di chi l’aveva firmata!

Concludo sottolineando che raramente l’Italia ha terminato un conflitto con l’alleato con cui l’aveva iniziata e questo ha pesato e, penso, continuerĂ  a pesare sulla considerazione di cui gode il Paese: ma, inevitabilmente, il peso maggiore di questo discredito si e’ riversato sulle Forze Armate, quali rappresentanti del Paese sia Patria sia, e sopratutto, all’estero.

Giovanni Papi

 

 

 

 

 

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