Le mirabolanti imprese de “er Macellaretto “

6 Novembre 2025
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Studi Storici

Inserto collezionabile a cura dell’Ufficio Storico della Polizia di Stato:

Commissario Giulio Quintavalli, Ispettore Fabio Ruffini, Assistente capo coordinatore Luca Magrone e dell’Ispettore (r.) Massimo Gay.

Tratto dalla rivista Fiamme d’ Oro dell’Associazione Nazionale Polizia di Stato – Anno LI n 2/2025

Il Maresciallo delle Guardie di Città Domenico Marcellini, detto “er macellaretto”, è stato lo spauracchio e l’incubo della malavita romana. Incide talmente sulle vite dei malviventi, che questi gli dedicano addirittura una strofa di una famosa canzone popolare:

Amore, amore, manname ‘na pagnotta/che er vitto der Coeli nun m ‘abbasta./Che er vitto der Coeli nun m ‘abbasta./Se nun te sbrighi me ce trovi l’ossa./E gira efai la rota/qui dentro rinserrato, si nun me viè’ l’aiuto, rimano senzafiato. Giovenottini de la malavita, nun lo cantate più gira la rota. Nun lo cantate più gira la rota, perché er governo ve l’ha proibita. E gira efai la rota, a rota del carretto, allegri giovenotti, hanno ammazzato er macellaretto. Dentro Reggina Coeli c’è ‘no scalino, chi nun salisce quello nun è romano. Chi nun salisce quello nun è romano, nun è romano né tresteverino..

A seguito della
recrudescenza
dei fatti di sangue
occorsi a Roma, la
Questura operava
continuamente
pattuglioni di
prevenzione,
per controllare i
luoghi di ritrovo e
sequestrare armi.
La Tribuna
Illustrata n. 31,

Ma “er macellaretto” non è morto come si augurano, anzi, continua a imperversare su di loro con eccellenti risultati per la Questura di Roma, offrendo materiale copioso ai giornali dell’epoca. Vi racconto la sua storia. Fino ai 18 anni, Domenico ha fatto il macellaio (a qui il suo soprannome) e ha avuto rapporti d’amicizia o semplice conoscenza coi delinquenti di Trastevere e di altri rioni romani; poi si arruola nella Guardia di Finanza e viene imbarcato su una nave che pattuglia il lago di Garda, dove si distingue subito nella lotta ai contrabbandieri. Tornato a Roms, da congedato al termine della ferma si rimette fare il macellaio.

L’ARRUOLAMENTO NELLA POLIZIA

Nel 1890, non si sa perchè gli affari non vanno bene o se la nostalgia dell’azione contro i malviventi, si arruola nella Pubblica Sicurezza, fresca di riforma, ed è destinato alla 1^ Brigata Investigativa nella Capitale, che effettua servizio in borghese. Mentre torna dal palazzo della Prefettura, dove pochi minuti prima è stato arruolato, si mette da subito in evidenza: a Porta Angelica viene invitato a puntare su le “tre carte”; consegna la posta, un biglietto da cinque lire, poi si china e raccoglie le carte, “invitando” i truffatori, tenuti per il bavero della giacca, a seguirlo in Questura. Secondo le cronache dell’epoca, ha una forza erculea, in netto contrasto con la sua figura “piccola e brutta”. La sua storia è costellata di gesta avventurose, di episodi a volte tragici e a volte simpatici, e di imprese notturne per i vicoli di Roma. Quando un pericoloso malvivente, Oreste Mazzacani, in Via dell’Orso ammazza con sette coltellate un ragazzo, figlio di un tranviere, che non aveva voluto pagargli un caffè, Domenico Marcellini lo va a cercare. L’omicida si è rifugiato in un bordello in Vicolo del Soldato. Entrato nella sala comune, Domenico lo riconosce, ma questi riconosce lui e salta precipitosamente dalla finestra. Senza esitare il poliziotto lo segue piombando nel cortile di un’osteria, battendo un piede nella caduta e provocandosi una contusione dolorosissima, nonostante ciò afferra l’omicida tenendolo contro un muro in attesa dei colleghi. In primo grado l’accoltellatore viene condannato a 22 anni di reclusione. E ancora, dopo complicate indagini scopre gli autori, i fratelli Mancurti, del furto della cassaforte rubata in casa del principe Colonna, e li arresta. Così come arresta alcuni falsari che, in una vigna presso Porta Salaria, hanno impiantato una fabbrica di monete d’argento false, irrompendo moschetto alla mano da una finestra al primo piano, dopo essersi arrampicato su una vecchia scala a pioli. O come quella volta che, avuta la certezza della colpevolezza di un noto rapinatore, detto “il Moro di Porta Trionfale”, arresta lui e tutti i suoi complici. Un poliziotto “d’altri tempi”, magnifico rappresentante di una esigua vecchia stirpe di investigatori che hanno il mestiere nel sangue. Un grande poliziotto, che con il suo incessante lavoro assicura alla giustizia rapinatori, assassini e semplici ladri. Un’altra volta, un famoso accoltellatore si è nascosto in una casa di Trastevere, il Marcellini lo scopre e ci va da solo. Bussato alla porta, una voce all’interno domanda: “Chi è, che volete”. E l’altro calmo: “Sò er macellaretto”. Dopo un mormorio un’altra voce dice: “Sor Domenico, hai portato l’amici?” (le guardie). “Macché amici pe’ ‘tte abbasto da solo, sbrigate a scenne giù si nò sfascio la porta”. Dopo qualche secondo di silenzio la porta si apre e il malvivente esce presentando i polsi e dicendo: “Vengo perché sei solo, si tu portavi l’amici, ne puncicavo quarcuno”.

I PATTUGLIONI NOTTURNI

Nelle notti fredde del mese di dicembre, le Guardie di Città convincono e conducono ai nuovi dormitori gratuiti di Milano, alcuni senzatetto “alloggiati” sotto i portici di Porta Venezia. La Domenica del Corriere n. 50, 1902.

Le retate notturne sono la sua specialità: fiuta i pregiudicati a cento metri di distanza, “come un cane fiuta la selvaggina”. Durante un pattuglione, nella notte semibuia, a un tratto si allontana in direzione dei vicoli, raccomandando alle guardie di stare attenti al fischietto. Poco dopo, infatti, si sentono voci concitate che rompono il silenzio seguite da un fischio. I poliziotti accorrono e trovano il trovano il Marcellini che tiene stretti per il collo due individui, mentre altri tentano di liberarli. E si finisce tutti alle camere di sicurezza. Un’altra volta sta a origliare alla porta di un’osteria dove sembra tutto in silenzio e, avvalendosi di una leva, la forza entrando in un ambiente buio, illuminato solo da qualche fiammella. Qui trova alcuni pregiudicati ai quali, mostrando il pugno nerboruto, dice: “Chi se move l’acciacco come un rospo”. Inizia la perquisizione, con l’ausilio delle altre guardie e, conoscendoli tutti, mentre li perquisisce domanda notizie della famiglia, del fratello pregiudicato, del padre in galera, sequestrando rasoi, coltelli, trincetti e grimaldelli. Talvolta, non trovando nulla addosso ai perquisiti, gli dice: “Ahò, perché me fate perde tempo?”. Poi comincia a tastare i mattoni del pavimento che possono celare un ripostiglio e, alla fine, rivoltando un tavolo o un banchetto, esclama: “Allora li cortelli stanno qua!” Infatti trova infissi 5 0 6 “mollette” (coltelli a scatto di circa 25 cm di lama), e si ripete la sfilata alle patrie galere. Marcellini è anche un fisionomista eccezionale. Una volta, in Via dei Serpenti, fra un gruppo di brutti ceffi, riconosce un pregiudicato colpito da mandato di cattura. Sebbene è solo, li affronta facendo affidamento solo sulla sua vigoria fisica. Afferra il malandrino per la giacca, mentre gli altri lo circondano; uno di questi, tirato fuori il coltello, gli vibra un fendente al basso ventre che gli lacera i pantaloni. Per difendersi lascia l’arrestato, che nella concitazione scappa, estrae la rivoltella e spara al collo dell’assalitore ferendolo. Poi lo porta all’ospedale per le cure, ma undici giorni dopo, questi era guarito e di nuovo per strada. Caio Antenni, famoso e temuto pregiudicato del Rione Ponte, dopo aver regalato due coltellate al solito “amico”, si è rifugiato nei pressi di Fiumicino. Sconosciuto alla popolazione, di giorno se ne va in giro liberamente sotto il naso dei Carabinieri e la sera si rifugia nella capanna di tale Ciccutello. Una notte qualcuno bussa alla porta della casa dicendo: “Ciccutè, apri”. E questi, credendo fosse un amico, apre. Svegliato dal rumore l’Antenni riconosce subito la figura de “er macellaretto” dicendo: “Siete voi sor Domè?” E l’altro: “So io, annamo!” E in silenzio, rassegnato, lo segue. In un’altra occasione, si trova alla stazione dei treni a vapore diretti a Tivoli, mentre osserva una persona ben vestita che lo insospettisce. Il modo di portare sul braccio il soprabito, oltre all’atteggiamento strano con il quale si avvicina alle persone, insospettisce Domenico che lo segue e lo ferma. Questi, un elegantissimo signore straniero, si qualifica per giornalista francese, ma viene comunque portato in Questura per accertamenti. Tempo dopo, da Parigi, si viene a sapere che è un famoso borsaiolo e assassino.

LA TENACIA

Un’altra sua qualità è la tenacia: non molla mai! Quando in Via dei Prefetti, presso la casa di una ricca signora, viene effettuato un furto di oltre centomila lire in titoli e denaro contante, i giornali parlano a lungo dei “soliti ignoti”, criticando l’operato della Polizia. Svolte le sue indagini, Marcellini si traveste da frate con una lunga barba bianca e, arrivato in Viale Parioli, entra in una casa in costruzione dove sa essere uno dei ladri. Qui, fra un gruppo di uomini individua tale Capobianchi e gli si avvicina. Questi lo guarda e riconosciutolo, sorridendo esclama: “Te ce sei vestito puro da frate…” e lo segue in Questura. Per chiudere l’indagine manca però la refurtiva che non si trova, e questa volta Domenico teme di aver preso un granchio. Appreso per caso che il detenuto rifiuta il cibo, ha la certezza che è stato lui, dicendo al suo interlocutore: “Ha l’impianto!”. L’impianto, in gergo, è un tubo d’argento in cui celare la refurtiva, riposto poi in un orifizio “ove il tacere è bello”. Quindi, si fa chiudere in cella “ar Coeli” (carcere di Regina Coeli) con l’arrestato, e gli tiene compagnia per due giorni, sorvegliandolo di ora in ora. Al terzo giorno di digiuno il malvivente confessa e viene fuori pure il “cannelletto”, tutto ossidato, che contiene una parte della refurtiva, riconsegnata poi alla legittima proprietaria.

LA CARRIERA

Innumerevoli volte encomiato e gratificato, Domenico Marcellini, matricola n. 58 del Corpo delle Guardie di Città, nel 1901 è promosso Sottobrigadiere. Nel 1902 è decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare, in occasione dell’intervento e l’arresto del portiere della casa del principe Massimo in Piazza S. Pantaleo, il quale, impazzito improvvisamente, lancia bombe nell’atrio del palazzo in Corso Vittorio Emanuele, tirando revolverate sulla folla incuriosita. Il poliziotto, disarmato, si getta tra la polvere e i calcinacci mentre viene fatto segno da una revolverata che gli buca la falda del cappello e gli procura una leggera ferita alla fronte. Raggiunto lo sparatore, ingaggia con lui una colluttazione atterrandolo con una ginocchiata al basso ventre. Il 1marzo 1907 è promosso Maresciallo di P.S. e il 1agosto dello stesso anno è insignito della Medaglia d’Argento al Merito di Servizio, istituita per legge l’anno precedente, conseguita per i suoi 15 anni di servizio. Nel 1908, amareggiato, si dice per una mancata promozione, medita di allontanarsi dalla Polizia, per andare a fare il capo sorvegliante nella tenuta del principe Torlonia, a San benedetto dei Marsi.

LA MALATTIA

Poi un giorno si ammala, e a nulla valgono le visite e le cure mediche procurate dal Senatore Angelo Annaratone, ex Questore della capitale, che si adopera molto per assicurargli il consulto di illustri clinici e le terapie mediche necessarie. Oltre alla malattia, ad arte vengono propalate calunnie nei suoi confronti, proprio nel momento in cui le forze vengono meno e gli manca I ‘energia vitale per difendersi. Muore il 10 settembre 1910, e la sera del 12 ebbero luogo a Roma i funerali. Sul carro funebre trainato da cavalli, oltre all’uniforme e al berretto, vi sono numerose corone di fiori. Dietro al carro, parenti, autorità, amici, funzionari di P.S., ufficiali, oltre a due plotoni, rispettivamente in testa e in coda, di Carabinieri e di Guardie di Città in alta uniforme. Giunto alla Dogana di Termini il corteo sosta, come era usanza all’epoca, per effettuare le orazioni funebri lette dal Commissario Giovanni Rostagno, la cui parte finale recita: “Commilitoni del povero morto, che qui siete convenuti a rendergli gli estremi onori, non vi turbi l’anima alcun sospetto: Domenico Marcellini fu umile eroe; egli merita la stima e la riconoscenza di tutti gli onesti. Presentate le armi alla sua Salma!”. Solo a morte avvenuta, alcuni maldicenti hanno insinuato che lui stesso era un delinquente, sfruttatore di donne. Fosse stato vero, spiace dirlo, non avrebbe lasciato i familiari senza il sostegno dello stipendio né della pensione, quasi alla miseria. Fortunatamente, su interessamento di qualche filantropo, due suoi figli vengono avviati in collegio, dove poterono studiare. Viene seppellito a Roma, al cimitero del Verano, fossa n. 9, fila n. 1, posto n. 25; dopo dieci anni è stato esumato e posto nell’ossario comune. Riposa in pace, sor Dome’.

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