Racconto autobiografico di Roberto De Giorgi
Certi incontri lasciano nel cuore un’impronta indelebile, un misto di emozioni che si mescolano tra speranza, tristezza e un senso di impotenza. Questo è il racconto di un legame fugace, ma intenso, con una persona che lottava contro le proprie dipendenze e le difficoltà della vita.
Una sera d’estate di alcune decine di anni fa, mi ritrovai parcheggiato lungo una strada di periferia. Ero poco più che quarantenne e, dopo qualche anno dalla separazione, mi sentivo giù di tono, oppresso dalla distanza forzata dai miei figli maschi imposta dalla mia ex moglie.
Ad un tratto, un viso di donna giovane, incorniciato da capelli biondi, apparve al finestrino. Non capii subito le parole che mi rivolse e, aprendo il vetro, le chiesi: “Che c’è?”. La sua risposta, “50 con o senza”, fu per me inizialmente incomprensibile, fino a che il senso mi fu chiaro. La invitai a salire in auto. Vestita con una minigonna e stivali alti, sembrava uscita da un film come *Pretty Woman*. Quando le chiesi quanti anni avesse, mi rispose che ne aveva 24. Non ebbi il coraggio di toccare quel corpo giovane, ma nello sguardo di quella ragazza percepii una sofferenza profonda. Immaginai che dietro il suo gesto ci fossero problemi che andavano oltre ciò che potevo vedere. Proposi di andare a cena insieme, e lei accettò.
La portai in un ristorante sul mare, tranquillo e quasi deserto, essendo un giorno feriale. Entrando, il cameriere ci osservò con uno sguardo che mi mise a disagio. Daniela, così disse di chiamarsi, iniziò a raccontarmi la sua storia. Mi spiegò che era stata cacciata di casa dalla madre per aver intrapreso una relazione con un ragazzo tossicodipendente, che l’aveva introdotta alla droga. Da quella relazione era nato un bambino, ma gli assistenti sociali le avevano impedito di continuare a vedere quel ragazzo, tossico e delinquente. Ora viveva sola, ma senza soldi, si trovava costretta a prostituirsi per garantire il latte e i biscotti al suo bambino.
Le sue parole mi toccarono profondamente, risvegliando in me un senso paterno che non avevo mai provato prima. Questo sentimento si amplificò quando, rientrati in auto dopo cena, Daniela si addormentò su di me. Guardandola dormire, sentii come se avessi finalmente accanto quella figlia che avevo sempre desiderato. Le accarezzai il viso, immerso in un mix di tenerezza e protezione, mentre il peso della mia età e del mio ruolo pubblico mi riportava alla realtà. Con un moto di responsabilità, misi in moto l’auto, svegliandola dolcemente. “Scusa se mi sono addormentata”, mi disse. “Non è un problema,” risposi, “Ora ti accompagno a casa.” Daniela mi sorrise, prendendo un bigliettino con il mio numero di telefono. Una volta arrivati, mi ringraziò per i soldi che le avevo dato prima di uscire dall’auto.
Il giorno dopo era domenica. Mi trovavo a casa di mia sorella, dove dormivo su una poltrona letto. Ricevetti una telefonata urgente da Daniela che mi chiese di incontrarla al centro del Borgo. Al mio arrivo, la trovai sconvolta, con il suo bambino di sei mesi tra le braccia. Il piccolo era mezzo nudo, ma con il caldo di quella giornata estiva era comprensibile. Daniela mi raccontò che il padre del bambino, ubriaco, si era presentato da lei e si era messo a dormire nel suo letto. Spaventata dalla possibilità che le potessero togliere il bambino, era fuggita.
Decisi di aiutarla. La feci salire in auto con il piccolo e ci dirigemmo verso la litoranea, a casa di un amico. Era ormai mezzogiorno e stavano pranzando. La figlia del mio amico prese il bambino tra le braccia, gli preparò il latte e lo sistemò confortevolmente. Intanto, il mio amico iniziò a telefonare a sacerdoti per trovare un rifugio per Daniela e il bambino. Purtroppo, tutti i posti disponibili erano riservati agli uomini, lasciando la giovane madre senza una soluzione immediata.
Quella giornata rimase impressa nella mia memoria come un momento di connessione umana, in cui due vite, entrambe segnate da difficoltà, si erano incontrate per condividere un breve frammento di speranza. Daniela, con il suo coraggio e la sua fragilità, mi ricordò che anche nelle situazioni più dure esiste sempre un filo di umanità che lega le persone.
La storia iniziò con una conversazione telefonica in cui lei aveva deciso di chiamare un amico che le aveva offerto un aiuto. L’appuntamento fu fissato presso un incrocio vicino Metaponto, accanto a un distributore di benzina. L’accompagnai lì e incontrammo un uomo anziano, sceso da una jeep verde, che la accolse. Tuttavia, la situazione si complicò quando lui, scoperta la sua tossicodipendenza, decise di non volerla più aiutare. Fu allora che mi chiamò al cellulare, implorandomi di tornare indietro.
Quando tornai a prenderla e salì in auto, mi chiese se potessi portarla a casa mia. Non avendo una casa, dovetti dirle di no, ma trovai un’alternativa: l’accompagnai da una sua amica. Anche in quel momento sentii il peso della sua vulnerabilità e della mia incapacità di offrirle ciò che avrebbe veramente bisogno.
Qualche giorno dopo, mi chiamò per incontrarla in una traversa della periferia. Quando arrivai, mi mostrò i jeans che indossava, sottolineando che non si prostituiva più. Mi raccontò che la nonna aveva chiamato la polizia, portando all’arresto di un ragazzo problematico, e che ora viveva con la nonna che la stava aiutando a rimettersi in piedi. Avevo con me una carrozzina, acquistata per il suo bambino. Gliela consegnai e la osservai sistemare il piccolo prima di andare via, lasciandomi con un groppo in gola.
Pochi mesi dopo, mi contattò nuovamente per accompagnarla alla Rondinella, dove doveva andare a prendere il metadone, il farmaco usato per la disintossicazione. Durante il tragitto, mi disse che aveva trovato lavoro come cameriera e che finalmente si sentiva contenta. Quando arrivammo, rimasi in auto ad aspettare. Poco dopo, la vidi uscire sorridente, accompagnata da un ragazzo giovane, tatuato e pieno di energia. Lui le diede un casco e insieme salirono su una motocicletta, allontanandosi velocemente. Non mi salutò, ma non era necessario. Guardandoli partire, con un nodo alla gola e un misto di emozioni, sussurrai: “Auguri ragazzi per il futuro.” Poi tornai a casa, solo ma soddisfatto, sapendo che forse un piccolo raggio di speranza stava illuminando la sua strada.
Questa esperienza mi ricorda quanto la vita possa essere difficile per alcuni e quanto ogni piccola azione possa fare la differenza. Non sempre possiamo cambiare il corso delle cose, ma possiamo offrire un momento di conforto, un piccolo gesto che lascia un segno. Mentre lei proseguiva per la sua strada, io rimasi con il ricordo del nostro contatto fugace, un racconto che porterò sempre con me, intriso di riflessioni e speranze.