Fine di un’alleanza: Trump e Musk ai ferri corti.

7 Giugno 2025
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“Non ci sono amici permanenti, né nemici permanenti, ma solo interessi permanenti.” — Lord Palmerston

Carlo Di Stanislao

La rottura ormai esplicita tra il presidente Donald Trump e Elon Musk segna la fine — e forse anche la definitiva implosione — di un rapporto mai formalizzato, ma che per lungo tempo è stato osservato con attenzione da analisti politici, investitori e leader d’opinione. Quello tra il tycoon della politica e il tycoon della tecnologia non è mai stato un sodalizio ideologico: era piuttosto un’intesa fondata su interessi convergenti, una danza di potere e visibilità che ha funzionato finché i reciproci vantaggi lo permettevano.

Ora che la convergenza si è spezzata, lo scontro è diventato diretto, personale, e destinato ad avere conseguenze profonde. Al centro della disputa: la nuova proposta fiscale dell’amministrazione Trump, che prevede incentivi per le industrie tradizionali, tagli per i programmi ambientali, e in particolare lo smantellamento progressivo dei sussidi per i veicoli elettrici — pilastro fondamentale del modello di business di Tesla.

Elon Musk non ha usato mezzi termini, bollando la manovra come “una disgrazia”, “un suicidio industriale” e “una dichiarazione di guerra all’innovazione americana”. Le sue parole hanno fatto il giro dei media, provocando la reazione furiosa del presidente Trump, che ha pubblicato un messaggio su Truth Social accusando Musk di ingratitudine: “Ha costruito il suo impero con i soldi dei contribuenti. Senza il sostegno del governo, non sarebbe nessuno.”

L’affondo non è privo di fondamento. Secondo i dati più recenti, le imprese guidate da Musk — Tesla, SpaceX, SolarCity, The Boring Company — hanno ricevuto nel corso degli anni oltre 38 miliardi di dollari in fondi pubblici. Questi includono prestiti agevolati, incentivi fiscali, crediti ambientali, contratti federali e sovvenzioni dirette. Solo SpaceX ha attualmente in corso accordi con NASA e Dipartimento della Difesa per un valore complessivo superiore ai 20 miliardi di dollari. Tesla, dal canto suo, è stata per anni uno dei principali beneficiari degli incentivi federali per l’acquisto di auto elettriche e ha tratto enormi profitti dalla vendita di crediti a competitor del settore automobilistico.

Il tempismo della rottura, però, aggrava ulteriormente la posizione di Musk. Tesla è nel mezzo di una delle peggiori crisi della sua storia: il titolo ha perso quasi un quarto del suo valore da inizio anno, con una caduta del 10% solo nell’ultima settimana. Le vendite rallentano in Europa e Nord America, i margini si assottigliano sotto la pressione dei produttori cinesi, e il mercato inizia a dubitare della capacità dell’azienda di mantenere il suo vantaggio competitivo nel settore EV. Il distacco da Washington — e in particolare dalla figura più potente del governo federale — rischia di peggiorare la situazione.

Dal canto suo, Trump non mostra alcuna intenzione di riavvicinarsi. La sua politica è diventata ancora più imprevedibile e centralizzata rispetto al primo mandato. Se già tra il 2017 e il 2021 era emersa la sua inclinazione per le epurazioni improvvise e le ritorsioni verso chi lo contraddiceva, ora il presidente agisce con ancora maggiore disinvoltura, circondato da una cerchia ristretta e fedelissima. In questo secondo mandato, sembra voler riscrivere le regole del rapporto tra governo federale e grandi aziende, premiando i fedeli e punendo chi prende posizioni divergenti.

Nel frattempo, l’influenza internazionale degli Stati Uniti sotto Trump si sta rivelando debole e contraddittoria. Sui fronti caldissimi di Ucraina e Gaza, la sua amministrazione si è distinta per ambiguità e per un atteggiamento spesso passivo. Gli appelli alla “pace immediata” si sono rivelati privi di efficacia diplomatica, mentre i negoziati multilaterali lo hanno visto isolato rispetto a partner europei e attori regionali. L’incapacità di incidere concretamente nei due teatri di guerra più drammatici del momento sta contribuendo a minare la credibilità della leadership statunitense, proprio mentre Trump concentra la sua attenzione su guerre intestine e nemici interni.

In questo contesto, la figura di Elon Musk — imprenditore non allineato, libertario, spesso sopra le righe — rappresenta per Trump un ostacolo. E allo stesso tempo, Musk pare intenzionato a giocare una partita propria, sempre meno interessato a schierarsi con una parte politica precisa. Negli ultimi mesi, ha lanciato segnali anche verso candidati indipendenti, ha criticato l’establishment repubblicano, e si è spinto a evocare la necessità di una nuova forza politica “progresso-centrica”, capace di superare il bipolarismo USA.

La loro frattura non è solo personale. Rappresenta simbolicamente la tensione crescente tra la politica tradizionale, sempre più reattiva e imprevedibile, e il mondo dell’innovazione, che vorrebbe certezze regolatorie e investimenti stabili ma che finisce spesso per scontrarsi con le logiche del potere politico. È anche uno specchio della fragilità delle relazioni pubblico-private negli Stati Uniti contemporanei, dove partnership miliardarie possono dissolversi in un tweet.

La relazione Trump-Musk, mai del tutto trasparente ma per anni funzionale, ora è diventata terreno di scontro aperto. E come insegna la realpolitik — e come ammoniva Lord Palmerston — in un mondo dominato dagli interessi, ogni alleanza è contingente, ogni intesa è reversibile.
E nulla, nemmeno tra i due uomini più potenti e mediatici d’America, dura per sempre.

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