RIPORTARE GESÙ CRISTO AL CENTRO

19 Maggio 2025
By

I primi passi da…Leone  di un agostiniano diventato papa

di Giuseppe Lalli

1a parte

“Gesù Cristo rivela Dio all’uomo e l’uomo a se stesso” (B. Pascal).

Leone XIV. Immagine tratta dal WEB

Il nome ‘Leone XIV’ scelto dal nuovo papa, il cardinale statunitense Robert Francis Prevost, nato a Chicago il 14 settembre 1955 da genitori figli di immigrati, è stata scelta felicissima. Esso evoca, in riferimento a chi lo ha portato nel passato, come meglio si chiarirà di seguito, la fede nel soprannaturale e la speranza nell’umanità, la dimensione verticale e quella orizzontale, le due braccia della croce, l’“et et”: la saggezza bimillenaria della Chiesa Cattolica, che tutto sempre abbraccia e tutto riconduce in alto.

Non è stata certo una scelta secondaria, ma frutto di una visione chiara, che attiene non ad ostentazione di potere ma  alla consapevolezza del proprio ruolo e al carisma di cui la persona del papa è portatrice, l’aver indossato la mozzetta rossa, che richiama la dignità di pastore supremo della Chiesa e il legame con la tradizione, e la stola (la stessa indossata da Giovanni Paolo II (1978–2005) e Benedetto XVI (2005 2013), simbolo della pienezza del sacerdozio, in una realtà ecclesiale, quella cattolica, dove la forma liturgica è sempre, in un modo o nell’altro, sostanza teologica.  Tutto riconduce, nella Catholica, ad una tradizione che travalica i secoli e i singoli uomini, e partecipa dell’essenza stessa del Cristianesimo.

Sobrio, pacato, mite, lo stile del nuovo papa ricorda a tratti quello di Giovanni Paolo II, la cui figura richiama anche nel fisico atletico e in una certa informale esuberanza, che in Leone XIV appare più sorvegliata. Ha ripetuto la celebre frase di Woitila, “Non abbiate paura!” e ha intonato il Regina Coeli, forse anche in omaggio a Sant’Agostino, di cui è figlio spirituale, che diceva che chi canta in chiesa prega due volte. Lo stesso uso discreto ma convinto del latino testimonia, al pari del grande papa polacco, di una aderenza al proprio tempo che non rinuncia alla tradizione.

La pace che ha annunciato con le sue prime parole pronunciate è la pace del Cristo risorto (“Vi lascio la pace, vi do la mia pace” dice Gesù appena risorto mostrandosi ai suoi discepoli, come si legge nel Vangelo di Giovanni), la pace nei cuori e nelle famiglie, a partire dal linguaggio, come premessa indispensabile della pace nella società e tra le nazioni: una pace, dunque, che è personale, interiore e spirituale, prima di essere sociale e politica.

Il nuovo pontefice ha fatto intendere che la capacità della Chiesa e di tutta la famiglia umana di “costruire ponti”, espressione che ha ripetuto, passa attraverso questa riconciliazione profonda che ciascuno deve fare in primo luogo con se stesso.

Ha invitato alla fine la folla osannante a recitare un’Ave Maria alla Madonna di Pompei, che ricorreva quello stesso giorno della sua elezione, mostrando così, insieme alla sua radicata fede mariana, di saper coniugare, in uno stesso discorso, altissimi richiami etici con espressioni di devozione popolare.

Ma è nell’omelia tenuta il giorno dopo nella messa celebrata alla Cappella Sistina di fronte ai cardinali che ha esplicitato, in nuce, il suo vero programma spirituale.

Nella cornice offerta dagli stupendi affreschi michelangioleschi che raffigurano Cristo che giudica il Creato, Leone XIV è parso voler tornare ai “fondamentali”, anzi al fondamento stesso della fede cristiana, richiamando quel passo del Vangelo di Matteo in cui Gesù chiede a Pietro chi la gente dice che egli sia, domanda che rivolge a tutti in ogni epoca e quindi anche alla nostra epoca. C’è domanda più importante per chi come noi ha sentito parlare di questo Gesù di Nazareth fin dalla prima infanzia?

La risposta di Pietro è la stessa che la Chiesa da duemila anni “custodisce, approfondisce e trasmette”, la stessa che ripete il nuovo successore di Pietro: “Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente, cioè l’unico salvatore e rivelatore del volto del Padre”,  precisando subito dopo che Lui, Dio, per rendersi vicino e accessibile agli uomini si è rivelato a noi, negli occhi fiduciosi di un bambino, nella mente vivace di un giovane, nei lineamenti maturi di un uomo, fino ad apparire ai suoi dopo la risurrezione con il suo corpo glorioso. Ci ha mostrato così un modello di umanità santa che tutti possiamo imitare, insieme alla promessa di un destino eterno che invece supera ogni nostro limite e capacità.

Sono parole luminose, lontane anni-luce dalla mentalità dominante.

Papa Leone inizia col fissare un punto di partenza, che vuole essere anche un obiettivo programmatico: “La Chiesa sia sempre più città posta sul monte, arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo”, bellissime immagini, che ci restituiscono tutto il fascino di una visione che non teme confronti; per poi scolpire, con frasi limpide e profonde – rifacendosi alla sostanziale indifferenza, ostilità o incomprensione con la quale accolse Gesù la società del suo tempo – un quadro di disarmante realismo della confusione e miseria spirituale del nostro tempo.

Anche oggi– ha detto con parole tutt’altro che rituali – non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito.” 

Da qui l’urgenza per i cristiani della testimonianza coerente, giacché dalla mancanza della fede, e quindi dal rifiuto dell’antropologia cristiana, derivano alla società molte rilevanti conseguenze: dalla perdita di senso della vita alla crisi della famiglia “e tante altre ferite di cui la nostra società soffre, e non poco”.

Non mancano poi contesti – ha proseguito papa Leone con esemplare chiarezza – in cui Gesù , pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti  battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto”: concetti, questi, che fanno giustizia delle tante superficiali  affermazioni di tutti quei maître à penser, anche cattolici, che in televisione e sui cosiddetti “social” pontificano sulla figura di Gesù banalizzandola.

Il nuovo pontefice ha così implicitamente ricordato che il cristianesimo non è una bandiera da sventolare, ma un annuncio da portare in primo luogo con la propria vita, in un quotidiano cammino di conversione, nelle circostanze di tutti i giorni: l’annuncio di Cristo morto e risorto, la sola luce che può fendere le tenebre del male.

Leone XIV ha infine esortato chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità  a “sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato”, secondo il fulgido esempio di Sant’Ignazio di Antiochia, martire vissuto tra il primo e il secondo secolo, che, portato in catene a Roma, mentre attendeva di essere sbranato dalle belve, scriveva ai cristiani dell’Urbe: “Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo quando il mondo non vedrà il mio corpo”, un linguaggio, questo, del tutto estraneo alla mentalità corrente, ormai inusuale perfino in bocca ai preti.

La straordinaria omelia di papa Leone si può riassumere con una frase lapidaria di Blaise Pascal (1623–1662), la stessa riportata dallo scrivente all’inizio di queste modeste riflessioni: “Gesù Cristo rivela Dio all’uomo e l’uomo a se stesso”, sublime intuizione di sapore agostiniano che il giovane Robert Francis Prevost, al tempo della sua formazione, non può non aver letto e assimilato.

A dispetto della sua apparente mitezza, quello di Prevost il giorno dopo la sua elezione è già un ruggito da…Leone.

Tags: ,

Comments are closed.

Dieci anni

Archivio