Strade e Stradale una storia comune /5

20 Ottobre 2021
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Ultimo episodio del percorso che ha portato alla nascita della Polizia Stradale

di Claudio Savarese, Vice Presidente nazionale ANPS

Articolo tratto dalla Rivista ufficiale dell’Associazione Nazionale della Polizia di Stato Anno XLVIII – n 2 – maggio luglio 2021

La breve, e certamente non esaustiva, disamina dell’argomento “Strada e Stradale”, affrontato nei quattro capitoli precedenti, ci consente alcune osservazioni. La strada, come elemento determinante per lo stanziamento umano ha avuto, nel tempo, una utilità più o meno considerevole a seconda della rilevanza che l’uomo ha dato alla stessa. Nel corso dei secoli, questa medesima importanza ha riguardato, di volta in volta, molteplici aspetti: economici, militari, religiosi, commerciali, o di normali relazioni sociali e di comunicazioni fra le varie comunità, piccole o grandi che fossero. È stato, perciò, sempre l’uomo che con il suo operare, o per suo interesse, ha fatto si che le vie esistessero, si ingrandissero, fossero curate, o, in taluni casi, fossero abbandonate, operando in questo modo una serie di scelte e preferenze.

UNO STRUMENTO DI INTERCOMUNICAZIONE

Si può ipotizzare che, agli albori della civiltà dell’uomo, le strade avessero, principalmente, la funzione di intercomunicazione tra i vari gruppi, mentre, con il progredire della specie umana, le stesse diventano veicolo di scambi culturali e commerciali. Successivamente, col formarsi degli Stati, tendenti ad ampliare il proprio dominio, appare verosimile che la rete stradale servisse, prevalentemente, al veloce spostamento degli eserciti. Col continuo progredire, e il consolidarsi, delle aggregazioni sociali, più moderne, le strade assumono uno sviluppo che è determinato dal bisogno di sicurezza, di quiete, di ordine, e dalla necessità di difesa contro le violenze interne ed esterne. Infatti, le prime opere strutturali nate lungo le vie, sono quelle che hanno lo scopo di difendere contro i pericoli minacciati dalla natura, e contro le sorprese ai danni recati dall’uomo: palizzate, argini, trincee, luoghi di rifugio. Principio fondamentale degli aggregati umani e che ogni unità sociale vorrebbe essere collocata, e mantenuta, là dove il conseguimento di tutto i suoi obiettivi, e il soddisfacimento dei suoi bisogni, incontreranno le minori difficoltà.

I PRINCIPI DELLA VIABILITÀ

Lo stesso principio regola la disposizione e la direzione delle strade di comunicazione. Si tratta, cioè, di giungere a quelle vie e a quelle forme di comunicazioni che, in rapporto allo sviluppo del commercio, al carattere di un popolo, alla conformazione del suolo, allo stato sociale, al grado di tecnica delle costruzioni, presentano, per le relazioni in genere e i trasporti, il minimo grado di resistenza. Ne consegue che si deve adottare quella direzione di strada che oppone minori difficoltà alla costruzione, alla manutenzione e all’uso della stessa; quindi, le arterie dovrebbero essere, il più possibile, in linea retta, orizzontali e a livello della superficie del suolo. La viabilità naturale è condizione necessaria perché uno Stato possa, all’interno dei suoi confini geografici, giungere presto a un compatto, uniforme e veloce collegamento di tutte le sue parti; quindi, è evidente che ha una importanza decisiva la conformazione morfologica del territorio. I rilievi sono un ostacolo per le comunicazioni e, comunque, indirizzano obbligatoriamente su determinati tracciati: è stato così per il territorio papalino, in gran parte ricoperto da montagne e colline, che hanno lasciato poco spazio alle basse pendenze e pianure e che si sono spinte, in un susseguirsi di alture, fino al mare Adriatico.

LE LEGGI DELL’ANTICA ROMA

Andando indietro nei secoli, fin dall’antica Roma, già Giulio Cesare nel 45 a.C. emana la “Lex Julia Municipalis”, con la quale si vieta ai carri adibiti al trasporto merci, nelle ore diurne, l’accesso in Roma con l’eccezione di quelli adibiti “a trasporti specifici”, destinati, cioè, al trasporto di materiali per la costruzione di edifici pubblici o opere per il culto. Vista la buona riuscita in Roma, la legge è stata successivamente estesa a tutte le altre città dell’Impero Romano. Un’altra norma sembra sia stato un “Editto” dell’Imperatore Nerone, nel 54 d.c., con il quale si obbligano tutti i conducenti di carri veloci a tenere accesa, dentro la cerchia urbana e nelle ore notturne, una torcia, in modo da consentire ai passanti di vedere approssimarsi il veicolo, e non finire così sotto le ruote. Queste due leggi sono la testimonianza di norme emanate per garantire la sicurezza della circolazione, soprattutto dei pedoni, considerato che Roma, a quel tempo, conta già un milione di abitanti. L’Impero Romano nelle strade trova il punto di forza e la chiave vincente, sia della politica espansionistica e di conquista di terre sempre più lontane, sia di diffusione della sua cultura, sia per lo scambio merci. Alla sua caduta, i traffici diminuiscono e le strade, a poco a poco abbandonate, diventano facile dominio di avventurieri e briganti che assalgono i sempre più isolati viaggiatori, anche per la mancanza di vigilanza sulle arterie (fenomeno, questo, che è durato centinaia di anni).

LO STATO PONTIFICIO E LA RESTAURAZIONE

La rete stradale storica dello Stato pontificio, nei suoi collegamenti e direttrici, se da un lato è positivamente caratterizzata dalla diffusione omogenea sul territorio, dall’altro presenta notevoli limiti funzionali perché strettamente aderente alla morfologia del territorio stesso, con percorsi tortuosi, tratti di elevata pendenza, onerosità di manutenzione, che la rendono scarsamente funzionale per gli spostamenti a lungo raggio. Per questi ultimi, infatti, valgono quelle direttrici di traffico che organizzano le relazioni extra regionali, indirizzandosi a specifici itinerari (le vie dei traffici, dei porti, delle fiere, dei santuari) ed hanno coinciso, per molto tempo, con l’antica struttura viaria romana, con lievi innovazioni che, solo in alcune circostanze, assumono significativa importanza, come nel caso della Clementina e Lauretana, strade dedicate soprattutto al transito dei pellegrini, che è stato per lungo tempo, l’interesse primario dello Stato della Chiesa. Le cosiddette vie “minori”, invece, restano affidate alle cure delle comunità locali, con le immaginabili difficoltà. Le due brevi “incursioni” napoleoniche non hanno fatto granché, ma la restaurazione è una forte spinta commerciale ed economica, oltre all’avviarsi di un costante, regolare e consistente transito di “legni” (carrozze) di ogni tipo, determinano la volontà del governo pontificio di mettere mano al problema delle strade dello Stato, attraverso una rivisitazione della situazione generale, sia riguardo alle strutture, al rifacimento, alla manutenzione ed agli appalti per i lavori.

L’OTTOCENTO

Per quasi un cinquantennio (1816-1861) sono emanati Motu Propri, Bandi, Regolamenti, Editti, Notificazioni, ecc., che sembrano, almeno sulla carta, dare un nuovo impulso alla viabilità papalina; ma a causa della pessima organizzazione della burocrazia pontificia, delle innumerevoli difficoltà a riscuotere le sopratasse sui fondi, necessarie per concorrere alle spese, l’organizzazione viaria, nel suo insieme, rimane abbastanza mediocre. A questo si aggiunge una presente, quanto larga, corruzione dei suoi funzionari, nonostante i numerosi Editti ed imposizioni volti a limitare il deprecabile fenomeno. Infime, si consideri che strade comode e facilmente percorribili, sulle quali si potesse procedere speditamente, e per ogni dove, non sono certamente compatibili con la libertà di circolazione, fortemente osteggiata dal governo che, in realtà, è più interessato ai controlli politici sulle persone, che non alle comodità del loro viaggiare. In pratica, l’atteggiamento piuttosto tetragono e restio alle riforme che permea lo Stato papalino del tempo, unito al sistema poliziesco governativo, limitatore delle libertà civili dei suoi sudditi, impediscono che il sistema viario si adegui per lo meno a quello degli altri Stati italiani ed europei.

IL REGNO D’ITALIA E LA LEGGE N. 2248

Solo con l’unificazione del Regno d’Italia, pure gravato da difficoltà economiche, nonché dalle problematiche sorte per amalgamare popolazioni di diversa cultura e costumi, si inizia a vedere un reale impegno per la risistemazione del patrimonio stradale del Paese. Si avviano numerosi studi e progetti di ogni genere e, cosa più rilevante, sono emanate leggi organiche regolatrici dell’intera materia, riguardanti le strade e i lavori pubblici nel loro insieme, le prime delle quali sono contemplate nella Legge 20/3/1865, n. 2248, all. F (progetto Menabrea), in gran parte in vigore ancora oggi. Questa trae origine dalla legge sarda del 1859 che, a sua volta, deriva dalle normative della Repubblica Cisalpina e del Regno italico, i cui principi generali riguardavano la classificazione delle strade in nazionali, comunali, private e le loro spese di mantenimento; la suddivisione dei porti in tre categorie; la realizzazione della gestione decentrata delle opere. La Legge 2248 è, senza dubbio, la legge fondamentale contenente i principi ispiratori da cui si è sviluppata tutta la legislazione vigente, in materia di lavori pubblici, anche se, ancora oggi, sparpagliata in moltissime leggi generali, speciali e comunitarie.

L’ARRIVO DELL’AUTOMOBILE

Nella seconda metà dell’800 si verifica un fenomeno destinato a sconvolgere le abitudini dell’uomo, la sua vita sociale, i suoi rapporti con l’esterno e con i suoi stessi simili: l’invenzione del motore a scoppio. La scoperta, seppure abbia alleviato molte delle sue fatiche, riducendo distanze e tempi, lo ha costretto al quotidiano e frenetico impatto con il meccanismo più caratterizzante della nostra epoca da oltre 150 anni: l’automobile. La presenza del veicolo ha provocato, molto spesso in negativo, determinanti trasformazioni nella civiltà, procurando anche danni rilevanti e irreparabili in nome del progresso e della comodità, con modificazioni del sistema di vita da cui, difficilmente, sarà possibile tornare indietro, ma per le quali si ha l’obbligo morale, civile e giuridico di trovare soluzioni, per lo meno accettabili. Lo Stato, qualunque forma di governo abbia avuto, ha manifestato sempre interesse alla emanazione di norme che, dal codice della strada vero e proprio, come nucleo centrale, e una molteplice varietà di leggi speciali, regolamenti, direttive comunitarie e internazionali, hanno, nel loro insieme, costityito il Diritto della Circolazione: diritto sempre rivolto alla tutela della sicurezza stradale.

LE AUTORITÀ Dl VIGILANZA

Come detto, con la scoperta del motore a scoppio e la realizzazione dell’automobile, il fenomeno dell’àuto diventa socialmente rilevante, e assistiamo in Italia alla nascita della prima legge che si occupa, in modo moderno, dei veicoli: il Regio Decreto 28.07.1901, a cui seguono le leggi del 30.06.1913, del 31.12.1923 ed il R.D. 02.12.1928. In questo stesso anno, con la creazione di un Ente Autonomo adibito alle strade, con L. 17.05.1928 n. 1094, è istituita l’AA.SS. (futura ANAS) e in data 26.11.1928, con R.D. nr. 2716, viene fondato il Corpo della Milizia Nazionale della Strada, diretta progenitrice della Polizia Stradale. In realtà, questa è una Specialità della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, creata dal regime fascista, così come lo erano la Ferroviaria, Portuale, Marittima, Postelegrafonica, Confinaria e Forestale. Tutte specialità (eccetto Forestale) che, alla fine del secondo conflitto mondiale, confluiscono nel rifatto Corpo delle Guardie di P.S., unitamente ad elementi di organizzazioni partigiane, appartenenti alla Repubblica di Salò, alla P.A.I., al Regio Esercito oltre, naturalmente, tutto il Corpo degli Agenti di P.S.

I CODICI DELLA STRADA

Una completa regolamentazione, in materia di circolazione dei veicoli, si ha quando tale fenomeno acquista veramente rilevanza sociale, e con il R.D. 8.12.1933 nr. 1740, la normativa stradale ha la sua prima organica sistemazione. Finito il secondo dopoguerra, nel ’46, ricomincia la voglia di vivere e di potersi muovere. L’ansia degli italiani, desiderosi di vivere la pace, si trova in sintonia con l’industria che ha bisogno di riconvertire la produzione bellica. La Fiat produce la “600”, la prima autovettura autenticamente popolare, che accompagnerà i primi week-end della famiglia italiana. Con l’incessante incremento della circolazione, non risulta più rispondente il codice del ’33, e si arriva al D.P.R. 15.6.1959 nr. 393 C.d.S., costellato da una miriade di leggi successive che modificano completamente la disciplina del trasporto merci, delle caratteristiche dei veicoli, quella riguardante pesi e dimensioni dei veicoli stessi; la legge sul cronotachigrafo, sul trasporto merci pericolose, sul casco, sulle cinture. Senza contare che, leggi sulla depenalizzazione come la 317/67, la fondamentale 689/81 e la 507 /99 hanno riformato, in modo spesso determinante, gli aspetti procedurali relativi al pagamento delle sanzioni, ai ricorsi contro i provvedimenti della P.A., afferenti al Cd.S.

IL CODICE 285

Si è arrivati, quindi, attraverso un iter legislativo, decisamente lungo e travagliato, alla formulazione del nuovo C.d.S. del 30.4.92 nr. 285, attualmente in vigore, peraltro immediatamente criticato dalla Comunità Europea, di 100 articoli più lungo del precedente, e che doveva rivedere tutta la normativa per dare organicità e snellezza al sistema e, soprattutto, per tentare di frenare I ‘ aspetto più grave dell’uso dell’auto: il fenomeno infortunistico. Questo è stato, ed è ancora, purtroppo, l’elemento tragico dell’attuale mobilità sulle strade del Paese, che continua a mietere vittime (soprattutto giovani), e il cui tributo di vite umane pagato dalla civiltà moderna, per godere di quella libertà di circolazione sancita dall’art. 16 della Costituzione, ci pare decisamente troppo elevato. E quindi evidente, che gli intendimenti del legislatore dovranno rivolgersi non solo alla costante manutenzione e cura delle strade e delle sue pertinenze, ma anche ad altri mirati interventi che coinvolgano la società civile nelle sue varie espressioni oltre, naturalmente, agli addetti alla vigilanza sulle arterie viarie.

CONCLUSIONI

Così ritorna il binomio, l’accostamento imprescindibile, tra le strade e la Stradale, che è stato oggetto di questa disamina. L’Impero romano con la molteplicità delle proprie strade, e i suoi “Mancipes” che ne controllavano i flussi e l’utilizzo (antenati della Polstrada); lo Stato pontificio, pur con la limitatezza degli interventi sulle strutture stradali, ma con la creazione di una figura di “Sbirro” che vigilava sulle stesse; il governo degli anni ’30, con la creazione di un organismo deputato alle strade (AA. SS), e una “Milizia” specifica che esercitava la cura ed il controllo di queste. Al nostro tempo, almeno il 60/700/0 del parco veicolare circolante viaggia sulle autostrade; alla vigilanza ed a tutti gli interventi relativi (infortunistici, giudiziari, ecc.) provvede, in via esclusiva, la Polizia Stradale, in base a una specifica convenzione stipulata tra il Dipartimento della P.S. e le Società Autostradali. Certamente un grande, quotidiano, impegno per gli Appartenenti alla Specialità, ma anche il riconoscimento della loro indubbia serietà e capacità professionale.

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