Storia e ricerche sul Regno delle Due Sicilie Progetto “Cippi Antichi Confini”

15 Luglio 2020
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15 luglio 2020

Franco De Angelis  Consigliere nazionale Comitati Due Sicilie                                                                          Dr.ssa Silvia Scarpone Ricercatrice

 

Civitella-del-Tronto-Fortezza.

Civitella-del-Tronto-Fortezza.

TERAMO – Numerose le iniziative culturali che negli ultimi anni vanno approfondendo la storia del Regno delle Due Sicilie. Tra queste è sicuramente significativo il progetto “Cippi antichi confini”. Lo scopo del progetto, il cui ideatore è il consigliere nazionale dei Comitati Due Sicilie Franco De Angelis, è quello di sviluppare un turismo compatibile con la cultura e la storia dei confini del Regno di Sicilia prima e del Regno delle Due Sicilie poi, ma anche quello di riportare alla luce tutti quei Cippi di confine e renderli fruibili per momenti di cultura, dimostrando così che i confini del Regno erano ben definiti e individuabili.

logo Comitati 2 Sicilie

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La storia

 A partire dal dodicesimo secolo i suddetti confini rimasero pressoché gli stessi per più di sette secoli, fino al 1861 e all’unità d’Italia. Essi andavano dal Tirreno (Terracina) all’Adriatico (Martinsicuro). In queste due località avevano sede le dogane, poste rispettivamente ad occidente e ad oriente dei limiti settentrionali del Regno. A tale scopo giova ricordare la storia dei confini e dei regnanti.

Gaeta, sul colle la Batteria Santa Maria

Gaeta, sul colle la Batteria Santa Maria

Nella notte di Natale del 1130, con una fastosa cerimonia Re Ruggero II sancì a Palermo la nascita del Regno di Sicilia. Quel 25 dicembre fu una data simbolica: Ruggero II si presentava, infatti, come il redentore di tutte le popolazioni del Sud della penisola, dagli Arabi ai Bizantini ai Longobardi, e nello stesso tempo annunciava al mondo la nascita di un Regno cristiano. Tutto il Sud fu unificato in una nazione indipendente che aveva come capitale Palermo. I confini geografici e politici, nonostante gli avvicendamenti di regnanti e casati europei, rimasero più o meno gli stessi per 731 anni, fino alla caduta di Gaeta, il 6 febbraio 1861 e per ultima la fortezza di Civitella del Tronto, il 20 marzo 1861.

Il Regno normanno durò fino al 1194. Poi vi fu quello degli Svevi, di cui il più illustre rappresentante fu Federico II. Con l’avvento degli Angioini nel 1266 la capitale del Regno di Sicilia fu portata a Napoli. A seguito dei “Vespri siciliani” del 1282 la Sicilia fu occupata dagli Aragonesi e divenne Regno di Trinacria. Nel 1443 gli Angioini dovettero cedere agli Aragonesi anche la parte continentale del Regno: le Due Sicilie furono riunite con Alfonso il Magnanimo (Regnum utriusque Siciliae).

 Nel 1503 il Regno fu annesso alla Spagna, come vicereame autonomo; stessa cosa avvenne nel breve periodo austriaco, che va dal 1707 al 1734, anno in cui tutto il Regno diventò nuovamente indipendente con i Borbone. In questa breve sintesi abbiamo tralasciato i pur importanti avvenimenti del periodo relativo ai primi Borbone: Carlo, Ferdinando I e Francesco II. Ricordiamo comunque che nel 1815 Ferdinando I unificò il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia in un unico Stato, che fu chiamato Regno delle Due Sicilie.

 Il confine

 Il Regno delle Due Sicilie presentava un confine che a nord lo separava dai tanti piccoli statarelli o ducati, sempre in guerra fra loro e pronti ad invadere i possedimenti altrui. La prosperità del Regno era conosciuta anche oltre i suoi confini e molti erano coloro che, provenienti dal nord, lasciavano tutto e vi si insediavano. Tuttavia, non esisteva un vero e proprio confine presidiato e delimitato, anche cartograficamente, del Regno. Le dispute territoriali lungo l’allora confine, spesso ballerino, portarono alla decisione di definire nettamente ed inequivocabilmente detto confine, perché la grande estensione del Regno portava continuamente a dispute e controversie su quali fossero i limiti e le proprietà del reame.

Fu così che il 26 settembre del 1840 venne sottoscritto a Roma un trattato per poter stabilire il vero confine; si pensò quindi di installare, lungo tutto il confine, dei “termini” in granito, alti più o meno un metro, aventi una circonferenza di 35-40 centimetri e definiti “cippi”. Il loro numero complessivo risultò essere di 686, ma la numerazione cronologica iniziava con il n.1 e finiva con il n.649, in quanto molti dei cippi venivano identificati con lo stesso numero e per differenziarli veniva aggiunta una lettera al fianco del numero. Il numero 1 venne dato al cippo posto presso la foce del fiume Canneto (tra Fondi e Terracina) mentre l’ultimo termine venne contrassegnato con il numero 649 e posto quasi alla foce del fiume Tronto, nelle immediate vicinanze del ponte tra Porto d’Ascoli (Marche) e Martinsicuro (Abruzzo).

Sotto ogni cippo veniva sotterrato un medaglione, ove vi erano incisi gli stemmi dei due Stati. La posa dei cippi di confine iniziò nel 1846 dal Mar Tirreno, avendo cura di volgere lo stemma dello Stato Pontificio in maniera che guardasse in direzione “del Cupolone”. Sulla sommità di ogni cippo veniva incisa una linea che indicava la direzione del confine e la posizione del cippo precedente e di quello successivo. I Cippi venivano ricavati da grosse rocce di granito, proprie del territorio o estratte da cave di pietra, grazie al lavoro di scalpellini, e poi venivano trasportati a spalla da numerosi uomini sul luogo di apposizione.

La loro distanza non era assolutamente matematica: nei luoghi più disagiati o intransitabili venivano posizionate a distanze superiori, mentre in luoghi regolari e comodi erano molto più vicini. A seguito della proclamazione dell’unità d’Italia, quasi tutti i Cippi, onde poter recuperare i medaglioni, furono divelti e lasciati cadere più in basso, oppure asportati per fare bella mostra nelle ricche case dei signorotti o davanti alle chiese. Sono pochi quelli rimasti nel luogo originario.

 Il confine e lo spirito di collaborazione e cooperazione

 Il confine tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio può essere considerato in qualche modo un antesignano dello spirito di integrazione culturale e pacifica convivenza tra popoli vicini. Spirito che, dopo circa un secolo, è stato alla base della creazione di quella che è oggi l’Unione Europea (di cui ricordiamo l’Italia essere uno degli Stati fondatori). Infatti, l’esigenza di delimitare i confini fra le due entità statuali non era dovuta a ragioni puramente politiche. Nel 1770 si assiste alla realizzazione delle prime carte ufficiali, sufficientemente dettagliate e comprendenti vaste porzioni di territorio.

Dette carte, commissionate ad esperti dotati di nuovi strumenti di misurazione tecnologici, erano molto utili ai sovrani in campo non solo politico, ma anche amministrativo per la riscossione di tributi, giudiziario per i crimini di frontiera e conoscitivo (non dimentichiamo che siamo nel periodo dell’Illuminismo). Il confine tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio nasce quindi non da finalità meramente politiche, ma soprattutto da necessità amministrative, catastali e di diritto.

Detto confine non è nato, come un muro, dalla volontà di dividere e separare, ma, analogamente a quello che è successo circa un secolo dopo con la creazione della Comunità Europea, dallo spirito di collaborazione e cooperazione tra popoli vicini. Non a caso a Roma, quasi un secolo dopo (nel 1957) è stato firmato il Trattato internazionale che ha istituito la Comunità Economica Europea, che, insieme al Trattato che istituisce la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, rappresenta il momento costitutivo della Comunità Europea.

La proposta progettuale

 La prima parte del progetto si svilupperà gemellando le due Fortezze che per ultime si arresero ai Piemontesi – Gaeta e Civitella del Tronto – per poi gemellare tutti i comuni attraversati dai cippi che delimitavano i confini detti e quelli adiacenti, coinvolti storicamente nei rapporti di confine. Saranno interessate tutte le associazioni culturali che sono legate alla storia del Regno delle Due Sicilie e dello Stato Pontificio, compresi i personaggi storici del brigantaggio, i CAI presenti nel territorio di riferimento, il WWF ed altri organismi naturalistici, non ultimi e meno importanti gli Enti Parco e gli Enti locali, le Province, le Regioni interessate (Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio) ed i 90 comuni che si trovano lungo il confine.

Il progetto prevede:

– il monitoraggio dei cippi esistenti e dei sentieri utilizzati dalle guardie borboniche di confine;

– la ricollocazione cartografica e satellitare dei cippi non più esistenti;

– il ripristino e l’ampliamento del sentiero esistente in modo da permettere la fruizione ciclopedonale in grado di coprire tutti i 470 chilometri circa che da Terracina/Gaeta, cippo 1, attraverso la trasversale Tirreno Adriatico, arrivano in prossimità dell’ultimo cippo, il 649, in località Martinsicuro;

– adattamento di alcune parti del sentiero a percorsi fruibili da persone diversamente abili per integrare una parte di popolazione molto spesso non considerata soprattutto quando si parla di escursioni, camminamenti e sport all’aperto;

– coinvolgimento di tour operator che si occupano di incoming nelle regioni interessate, per proporre un turismo esperienziale che ruota attorno al cammino attraverso l’offerta di pacchetti turistici pensati per amanti della natura, amanti della cultura, camminatori esperti e meno esperti, famiglie, e ogni viaggiatore interessato a scoprire territori finora inesplorati dal turismo di massa, imparare usi e costumi.

L’esperienza è quindi proprio quella di immergersi da protagonista nella cultura e nelle tradizioni locali della regione visitata e di condividere qualcosa che conoscono solo gli abitanti del posto. Una caratteristica fondamentale nel turismo esperienziale è infatti l’importanza data alla relazione. Non esiste turismo esperienziale che non abbia questa forte valenza relazionale che consente al viaggiatore di raggiungere l’essenza stessa del viaggio: l’incontro. Il progetto prevede inoltre collegamenti con le strade consolari romane e con altri camminamenti che intersecano quello dei cippi.

Il riconoscimento, la valorizzazione e la promozione dei cammini è stato oggetto di approvazione in Abruzzo con la Legge regionale 52/2017. Un codice chiaro e dettagliato che fornisce un quadro normativo di riferimento per gli Enti locali che vorranno istituire percorsi e itinerari escursionistici pedonali o comunque fruibili con forme di mobilità dolce sostenibile presenti nel territorio con il duplice scopo di stabilire i parametri da rispettare per la realizzazione dei cammini e di implementare l’offerta culturale e turistica regionale. Uno strumento utile per tutti quei comuni che desiderano puntare sul proprio patrimonio naturalistico. In particolare nella legge viene specificato che l’istanza deve contenere la “carta d’identità del cammino” nella quale vengono riportati come dati la tipologia di interesse del cammino, il suo tracciato cartografico e georeferenziato, l’ente che gestisce e promuove il percorso e le informazioni utili ad evidenziare il legame e le peculiarità dei luoghi interessati dall’itinerario.

L’interesse che i territori stanno mostrando per la nascita dei cammini potrebbe dare luogo alla creazione di nuovi percorsi turistici, ippovie, percorsi per mountain bike, per gare podistiche ed anche la nascita di nuovi agriturismi e camping, bed and breakfast o nei piccoli borghi la nascita dell’albergo diffuso. Si potrebbe pensare di creare un evento per il “confine”, dove ogni anno si possa visitare una zona ed approfondire il tutto con giornate di studio e meeting. L’obbiettivo è quello di rendere fruibili quei percorsi per l’intero arco dell’anno, puntando così ad un turismo rispettoso della natura e vivibile 365 giorni. Nell’ottica di sviluppo territoriale dal punto di vista culturale, naturalistico e turistico saranno monitorate tutte le attività artigianali e commerciali, di ristorazione e di alloggio ed i centri di interesse storico.

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