I mille perche’ del ricorso contro il decreto legge 65/2015 che annulla la sentenza 70/2015 della consulta sul mancato adeguamento dei trattamenti all’inflazione per quelli superiori ai 3000 euro.

6 Gennaio 2016
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LA SENTENZA N. 70/2015 E’ UNA CONDANNA PER LO STATO

RICORSO CONTRO IL DECRETO LEGGE 65/2015

ANALISI E PREVISIONI

Vincenzo Ruggieri

Il grimaldello per scippare quattrini anche a chi ha versato contributi per oltre quarantotto anni, (avete letto bene: 40 + 8 nella misura del 33%) come chi scrive, e quindi giustamente percepisce pensione decorosa ma che nel tempo ha perso oltre il 30% del potere di acquisto, perché non perequata, non soddisfa chi in nome dell’equità distributiva – e cavalcando l’indignazione per le vere pensioni d’oro – di oltre 30mila euro mensili – vorrebbe tassarle e ridurle senza considerare pensioni e vitalizi parlamentari erogati –  senza o con insufficienti contributi – con la Legge Mosca, la Legge Treu. Ed infine la Legge 388 del 2000 (legge Amato/Prodi) che eroga pensioni, senza contribuzione, agli extracomunitari ultrasessantacinquenni residenti nel nostro territorio. Costo di circa 30 miliardi di vecchie lire all’anno (fonte internet).

Fatto questo necessario preambolo, rispondo volentieri alle numerose richieste di chiarimenti sul perché del ricorso contro il Decreto Legge 65/2015 convertito in legge 109/2015.

Premetto che è in atto un attacco concentrico contro i pensionati e qualche effetto (taglio) lo avrà certamente. La manovra a tenaglia sulle pensioni iniziata da oltre un decennio con il non adeguamento dei trattamenti all’inflazione per quelli superiori a soglie modeste (fino a 3.000 euro lordi), è solo un inizio di una strategia ben più sottile e diffusa.

Anziché colpire i costi della politica e degli scandalosi privilegi, che sono sotto gli occhi di tutti, anche del Capo dello Stato, è in atto la deindicizzazione delle pensioni con proposte fantasiose e deliranti. Peccato che questi illustri <<parlamentari proponenti>> non conoscono davvero la Costituzione della Repubblica ed in particolare gli articoli 2, 3, 23, 36, 38 e 53, e le sentenze emesse in materia dalla Corte Costituzionale (da ultimo la n. 116/2013 – pensioni ed equità) e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo perché c’è da restare davvero sbalorditi e stralunati oltre ogni limite di fronte a tanta ignoranza.

La sentenza n. 70/2015 della Consulta è una precisa “CONDANNA” per il Legislatore e per lo Stato e non può lo stesso Legislatore, avvalendosi dei suoi “strapoteri”, con un provvedimento di imperio – delle peggiori risme dittatoriali – autoassolversi e ricondannare i ricorrenti appellandosi all’istituto degli “equilibri di bilancio”, peraltro introdotto successivamente alla citata “condanna” facendo prevalere il diritto della FORZA sulla forza del DIRITTO addirittura con effetto retroattivo in spregio alla certezza del Diritto protetto dall’art. 11 delle preleggi sull’efficacia delle leggi nel tempo che “non  dispone che per l’avvenire”.
Come ho più volte precisato e ribadito proprio su queste colonne, e lo ripeto forte e chiaro, il diritto dei pensionati che hanno pagato ingenti contributi previdenziali, è stato barbaramente leso, con il decreto in titolo, per cui si rende necessario un nuovo intervento della Consulta.

Va da sé che il nuovo Giudice adito dovrà vagliare e sollevare la questione trasmettendo gli atti alla Corte Costituzionale affinché la legittimità della nuova norma sia sottoposta ad una successiva e doppia valutazione. Pur nella consapevolezza che la nuova disciplina introdotta con l’art. 81 nella Costituzione sugli “equilibri di bilancio” potrebbe indurre la Consulta a dichiarare la norma costituzionalmente legittima adottando sbarramenti formalistici.

Tuttavia va evidenziato, nella copiosa disciplina giurisprudenziale, che la Corte ha sempre ribadito che il diritto alla pensione ed al mantenimento del suo potere di acquisto gode di una protezione specifica (quale retribuzione differita) e non può essere sacrificata nelle presunte esigenze di bilancio.

Vorrei in questa sede anche ricordare che il Presidente del Consiglio disse, in maniera solenne “che nessuno avrebbe perduto neppure un euro e che la sentenza sarebbe stata rispettata”.

Basta saper leggere o aver frequentato la scuola dell’obbligo – vorrei dire le scuole reggimentali per analfabeti e semianalfabeti – per poter valutare senza alcun margine di errore, che la decisione adottata con il Decreto Legge in titolo, è contraria alla decisione della Corte in quanto viene violato il principio reintegratorio di cui all’art. 136 della Costituzione. Aggiungo che il principio dell’“equilibrio di bilancio” introdotto in Costituzione  con l’art. 81 non deve essere considerato una autorizzazione o peggio un “lasciapassare” al libero arbitrio della politica nello stabilire a chi farne pagare il prezzo.

Vorrei ricordare che nel 1988 e 1991 la Corte emise le sentenze n. 501 e n. 1 affermando sempre il principio che le pensioni dovevano essere continuamente adeguate alle retribuzioni dei dipendenti in servizio, non in un rapporto matematico, ma comunque costante in base agli artt. 36 e 38 della Carta.

Non a caso la Consulta afferma “L’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto della solle percepite, da cui deriva in modo conseguenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata.

Tale diritto, costituzionalmente fondato risulta irragionevolmente violato e barbaramente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie intaccando i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale.

Non posso in questa sede, pur nel rispetto doveroso che si deve a Capo dello Stato, politico di lungo corso e proveniente dalla stessa Consulta, che ha espresso giuramento sul rispetto della Costituzione, esprimergli elementi di censura per aver firmato il Decreto Legge prima e la Legge di conversione dopo, pur in presenza di chiari elementi anticostituzionali. O, come si suol dire in gergo, di “dubbia costituzionalità”.

Alla luce di tali principi mi sono fatto garante del ricorso pur nella previsione di una sentenza non favorevole.

Augurando che non sia dato ascolto ad un editto del 1998 dell’allora Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale che con una cosiddetta “velina” ebbe ad interessare tutte le Magistrature contabili: “I ricorsi vanno presi con le molle. Se c’è da scegliere tra una soluzione favorevole ed una meno è opportuno scegliere la seconda per non compromettere equilibri di bilancio”.

Questa la volontà di un Ministro della Repubblica che faceva prevalere – mi ripeto – il diritto della forza sulla forza del Diritto.

Quanto mi piacerebbe assistere, magari con le sembianze di una zanzara, posata su una pregiata mantovana che adorna le eleganti stanze della Consulta, assistere alla discussione del ricorso e guardare negli occhi i giudici, nelle austere toghe e pungerli sul collo ad ogni voto negativo.

Incrociamo le dita e che il 2016, anno bisestile, sia portatore di rispetto verso il popolo dei pensionati.

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