IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

13 Aprile 2012
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Andamento debito pubblico italiano negli ultimi 15 anni - fonte LaPresse.L'Ego

 Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista al prof. Antonio PORTO per cercare di capire le scottanti problematiche della crisi finanziaria.

Come si ripiana il debito pubblico?

Intanto si può ricorrere all’emissione di obbligazioni oppure al debito estero, cioè prestiti da parte di Istituti stranieri o dalla stessa BCE.

Per aumentare le entrate si potrebbe, però, intervenire sul PIL. A tal fine il governo ha fatto leva sulle liberalizzazioni e sulla Riforma del Lavoro (art. 18): saranno sufficienti ad aumentare la ricchezza?

Una politica monetaria attiva deve essere articolata in più interventi, ma prima è opportuno fare una precisazione. Oggi come riferimento non viene più preso in considerazione il PIL (prodotto interno lordo), ma il BES, cioè il Benessere Equo e Sostenibile.
Cosa voglio dire: il BES indica il surplus che ciascuno di noi ha rispetto alle proprie spese, in una parola indica la ricchezza disponibile per ciascuno di noi. L’aggettivo “equo” indica che tale benessere deve poter essere distribuito in tutte le fasce sociali. Si consideri che oggi il 10% degli Italiani possiede quasi il 50% della ricchezza presente nel Paese. Qui torna il discorso della propensione marginale al consumo: quel 10% di Italiani ha una bassa propensione al consumo quindi non svolge alcuna funzione di stimolo per l’economia perché possiede una
ricchezza monetaria “immobilizzata”, spesso esportata all’estero. Questo patrimonio immobilizzato non produce ricchezza in Italia.
Questo discorso spiega anche perché il settore del Lusso non risente della crisi: quel 10% mantiene uno standard di vita invariato con una propensione al consumo  immodificata rispetto al periodo precedente la crisi.
Concludendo rispetto al BES, faccio un ultimo accenno al concetto di “ricchezza sostenibile”: per indebitarmi devo essere consapevole di poter restituire il debito. Qui torna il discorso dello spread che è quindi legato alla sostenibilità del debito: maggiore è l’insostenibilità del debito, maggiore sarà lo spread! Peraltro, il concetto di “sostenibilità” è legato anche alle generazioni future: gli interessi pagati sul debito pubblico investono sia il breve che il lungo periodo e ricadranno anche sui nostri figli, nipoti e le generazioni a venire.   

 Quindi, calando il discorso all’oggi, il livello di spread sta calando. Questo cosa indica?

Questa è la differenza fra il Governo Berlusconi e quello Monti: gli investitori esteri hanno riacquistato fiducia nella sostenibilità del debito futuro e ciò è positivo anche in funzione dell’ammontare degli interessi pagati e da pagare.
In sostanza, Monti sta seguendo ed applicando quelle politiche che gli sono state indicate dal Creditore, che quindi – in un circolo virtuoso – è disposto ad abbassare il rating.

Però, nonostante il governo Monti, la spesa pubblica non diminuisce ma tende ad aumentare

Questo dipende dal fatto che il governo Monti è comunque legato ai partiti, i quali sono chiamati ad avallare interventi sulla spesa pubblica.

Riporto una frase tratta da CRESA – editoriale a firma del Direttore, F. Prosperococco: “Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ed il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi hanno mostrato preoccupazione per i segni recenti di deterioramento della dinamica del credito (credit crunch). Da questa consapevolezza è derivato l’invito a un ritorno delle banche, seppur a fronte di una “acuita capacità selettiva”, al finanziamento di famiglie e imprese” .
In questo contesto quale ruolo potrebbero giocare le banche?

L’economia può ripartire grazie agli investimenti agevolati dalla propensione al risparmio ovvero grazie al credito. Con riferimento al credito, preciso che le Banche italiane sono sottocapitalizzate rispetto alle esigenze della clientela. Questo si traduce in una limitata quantità di moneta in circolazione che, di conseguenza, determina anche pochi investimenti. A questo si aggiunga che il sistema economico è in recessione, quindi bisogna intervenire o in termini di innovazione tecnologica (prodotti ad alto contenuto di tecnologia) o su un costo dell’investimento basso. A questo punto entrano sulla scena le banche. Il sistema creditizio è finalizzato a ripianare le posizioni debitorie e ricapitalizzarsi.
Gli aiuti erogati dalla BCE sono stati utilizzati per incrementare il livello dei prestiti concessi. Poiché però le banche non fanno sconti a nessuno, tassi agevolati possono essere erogati solo dietro opportune garanzie, che nella situazione attuale non è possibile dare. In sostanza, si verifica un circolo vizioso, determinato dalla stessa politica monetaria. Si tenga conto, poi, che il grosso del credito è quello richiesto dalle PMI (piccole e medie imprese). Sono proprio queste oggi più in difficoltà a rilasciare garanzie; sono proprio le PMI impossibilitate a pagare interessi alti, i quali incidono sul prezzo del prodotto finale che, quindi, non è competitivo sul mercato globale. Come si nota, il costo del credito e lo spread sono direttamente proporzionali e questo incide sulla competitività internazionale delle imprese italiane. Ovviamente, si assiste ad una sempre maggiore polarizzazione degli estremi visto che le grandi aziende non hanno di questi problemi.

 In una fase di recessione, chi può investire?

Pochi. Facciamo un esempio locale: numerose Associazioni di categoria ed altri soggetti istituzionali del territorio hanno costituito un Fondo di garanzia finalizzato appunto ad erogare credito in forma agevolata. Ebbene, le richieste di “accesso” sono state irrisorie proprio perché le PMI non sono in grado di dare garanzie.

Quindi, come si possono aiutare le PMI, tenuto conto del fatto che il tessuto imprenditoriale italiano e per la maggior parte costituito di piccole e medie imprese?

Posso indubbiamente elencare alcuni strumenti: intanto, garantire un accesso al credito a tassi “accessibili”; miglioramento del ruolo sociale, economico e civile che le Banche sono chiamate a svolgere; valutazione della solvibilità delle PMI da parte del sistema creditizio non strettamente ragionieristica, ma basata sul business plan, sul progetto d’impresa e sulle prospettive future che l’impresa ha. Peraltro, proprio i piccoli devono essere supportati in termini di R&D (ricerca e Sviluppo) ed è importante puntare sull’Economia della conoscenza e sua una sempre maggiore professionalizzazione e globalizzazione – direi – delle figure in entrata. Si tenga conto che l’economia del futuro è legata ai servizi alle imprese, sempre intesi in termini globali: come ha sottolineato l’OCSE nel suo studio, bisogna puntare alla creazione di una “smart city”, creando un territorio a rete che offra servizi avanzati.

Cosa può aiutare a produrre ricchezza?

In tre parole: credito, idee e formazione. Bisogna aiutare le PMI a sviluppare ed implementare prodotti anche già esistenti in modo da migliorare l’accesso sui mercati esteri ed innescare un processo virtuoso di sviluppo e ricerca. Le PMI hanno anche bisogno di incubatori d’impresa, che offrano tutoraggio ed assistenza per l’elaborazione di business plan, per esempio, o anche di spin-off, che fanno ricerca da trasferire al mondo imprenditoriale. Gli spin-off in particolare hanno la particolarità di avere origine territoriale: nascono in un’area che poi fruirà delle ricadute positive del loro operato.

Un’ultima battuta sulla riforma del mercato del lavoro e dell’articolo 18. Si può parlare di battaglia ideologica sull’argomento?

Direi che in tutta questa disputa c’è un aspetto positivo, cioè le ricadute che questo produce sull’estero. Mi spiego meglio: un’azienda inglese – per fare un esempio – che intenda venire in Italia ad investire, oggi non si sente tutelata dalla normativa italiana sul lavoro. Se, invece, la norma garantisse la possibilità di “licenziare più liberamente”, lo stimolo ad investire in Italia sarebbe maggiore. Insomma, perché le imprese estere siano attratte dal Sistema Italia, è necessario che ci sia un sistema legislativo trasparente e semplice; che le controversie possano  essere risolte in maniera veloce ma garantendo comunque a tutti un adeguato livello di tutela per tutti; che il sistema non sia ingessato ma in costante movimento.
Se consideriamo tutto il dibattito sul licenziamento per motivi economici, vediamo che il problema sta appunto nella chiarezza delle disposizioni, cioè bisogna – in quel caso specifico – indicare chiaramente il motivo che conduce a licenziare in modo da garantire anche eventuali reintegri, consentendo anche al giudice di avere tutti gli elementi utili a svolgere adeguatamente il proprio ruolo. Insomma, bisogna declinare il senso della frase.
Quel che è certo è che oggi non sono tutelati né l’azienda né il lavoratore.

 

 

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