GLI USA LASCIANO L’IRAQ

20 Dicembre 2011
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Gli USA tornano a casa per Natale

Marzo 2003 – nell’ambito della lotta internazionale al terrorismo, una coalizione guidata dagli USA  intraprende l’Operazione denominata “Iraqi Freedom” per rovesciare il regime di Saddam Hussein.
Dicembre 2011 – gli USA lasciano l’IRAQ, con qualche giorno d’anticipo come regalo di Natale del Presidente  Obama ai “suoi” soldati.
Il conflitto ha lasciato sul campo 4500 soldati americani e decine di migliaia di iracheni senza dimenticare i tanti delle forze alleate – compresi nostri soldati – che hanno terminato la loro esistenza combattendo in un conflitto rispetto al quale erano, spesso, praticamente estranei.
La guerra é nata sotto l’Amministrazione Bush con l’intento di ricercare armi di distruzione di massa a supporto della principale finalità, cioè deporre il dittatore Hussein, fattore di destabilizzazione dell’intera area a causa del supporto da lui offerto al terrorismo.
In realtà, dopo una strenua caccia, il risultato è stato sconcertante: niente armi di distruzione, solo un dittatore malato di manìe di protagonismo, quindi, forse per questo, ancor più  pericoloso.
Oggi, ricostituito l’Esercito e ristabilite le Forze di Polizia, si è operato il trasferimento alle autorità irachene della responsabilità della sicurezza nel Paese. Quindi, l’Iraq si ritrova da solo a fronteggiare un’intestina guerra tribale e ripetuti episodi di terrorismo ispirato ad ideologie religiose estremiste, con una situazione politica a dir poco incerta. Si è combattuto per la Democrazia, ma la Democrazia non scende dall’alto.
La Democrazia, il governo del popolo, si conquista con il tempo: il popolo deve “maturare”, deve appropriarsi della propria libertà e saperla gestire, cosa che richiede opportuna educazione. L’educazione parte dal basso, dalle scuole elementari, bisogna preparare le generazioni a venire, bisogna costituire una classe dirigente pronta ad affrontare anche le sfide che la Democrazia pone. Questo, per ora, in Iraq non sembra possibile.
Peraltro, l’intera Regione costituisce un’area grigia di grande instabilità a causa della presenza di numerosi fattori di destabilizzazione, sia interni (guerriglia sunnita delle regioni
centro-settentrionali, mai completamente domata, gruppi di militanti sciiti attivi nel Sud ed una struttura sociale ancora tribale) che esterni (tentativi iraniani di ingerenza nel Paese, ingerenza dei paesi arabi sunniti – Arabia Saudita in testa).
In definitiva, il problema della Democrazia in Iraq non è disgiunto dal condurre verso la Democrazia anche Nazioni limitrofe in cui prevalente è il connubio Politica-Religione. Sicuramente, la Democrazia non si impone: il processo – lungo e spesso anche sanguinoso, come l’Italia sa bene – si può sollecitare, ma non si può “esportare”. D’altronde, l’esercito
statunitense era pur sempre un esercito invasore, stranieri che calcavano il suolo iracheno e che il popolo mal sopportava.
Oggi il destino è – in tutti i sensi – nelle mani di quel popolo: devono imparare ad autodeterminarsi, a gestire la cosa pubblica, a scindere le componenti politica e religiosa, a trasformarsi in Stato veramente laico. Il processo sarà lungo, non privo di asperità né di sacrifici umani: la Democrazia e la Libertà sono dee esigenti!

 Francesca Bocchi

 

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