Il partigiano Montezemolo”.

22 Ottobre 2023
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organizzatore della resistenza militare nell’Italia occupata

di Daniele Di Giulio

PREMESSA

Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (Roma, 26 maggio 1901 – Roma, 24 marzo 1944)

La sera dell’8 settembre del 1943, l’improvviso ed inaspettato proclama del Maresciallo BADOGLIO, che annunciava la fine della guerra contro gli alleati, causò un’immediata aggressione da parte delle forze nazifasciste su tutto il territorio nazionale, secondo uno specifico piano già elaborato nel maggio del 1943.

L’Esercito Italiano nel contrastare tale attacco condusse una lotta che non fu tardiva, sporadica ed episodica, ma immediata, costante e operante, una presenza consapevole, che si ispirava agli ideali del Primo Risorgimento, nonché devota agli interessi del Paese e perciò portata ovunque, semplicemente come un normale dovere.

Il contributo di sangue, di fede, di ideali che i contingenti militari italiani hanno dato nel loro arduo e cruento percorso verso la libertà, si è concretizzato in:

  • reazioni contro le intimazioni e aggressioni tedesche (nel territorio metropolitano e all’estero), subito dopo la proclamazione dell’armistizio;
  • impiego sia di reparti nella guerra in Italia, inquadrate nelle Armate alleate, sia di forze ausiliarie in supporto agli anglo-americani;
  • adesione alla resistenza italiana con le formazioni partigiane;
  • resistenza dei militari italiani internati nei lager nazisti.

Le due prime attività sono ben conosciute anche dai non addetti ai lavori. Infatti, al riguardo vi sono studi, contenenti sia documentazione ineccepibile sia testimonianze inconfutabili e, negli ultimi anni, documentari televisivi e film.

L’ultimo aspetto, infine, è stato oggetto di vari convegni e studi e, nel recente passato, è stata approvata la legge n. 296 del 27 dicembre 2006, in cui si istituiva la concessione di una medaglia d’onore ai militari italiani, deportati ed internati nei lager nazisti a cui era stato negato lo status di prigionieri di guerra.

Al contrario, l’approfondimento storico continua ad essere carente per quanto concerne la partecipazione di militari alle formazioni partigiane. Naturalmente nessun storico disconosce che il movimento partigiano abbia avuto origine dall’esercito, ma generalmente si tende a considerare il fatto come del tutto spontaneo per iniziativa di militari sparsi, di grado poco elevato e, soprattutto, senza un collegamento con il Comando Supremo italiano dislocato a Brindisi.

L’attività svolta dal Colonnello Montezemolo dimostra invece che, pur operando in condizioni di quasi totale impotenza per l’ottusa e punitiva politica anglo-americana, il citato alto Comando non solo incoraggiò sempre i militari rimasti nelle zone occupate dai tedeschi a partecipare attivamente alla lotta partigiana, ma si prodigò, con ogni possibile mezzo a sua disposizione, per coordinare e sostenere il movimento clandestino inviando: denaro per finanziare le varie bande, agenti, apparati radio con relativi operatori per realizzare un’articolata rete informativa, sabotatori sia per contribuire ad individuare i bersagli da colpire (anche nei bombardamenti aerei) sia per danneggiare le vie di comunicazioni (ferroviarie e stradali) tedesche.

LA CARRIERA MILITARE

Montezemolo 1943

Il 24 giugno 1918, il diciasettenne Montezemolo si arruolò volontario nel 3° reggimento alpini, ricevendo il battesimo del fuoco sui Monti Lessini (Prealpi venete). Il 10 dicembre 1918, a guerra terminata, fu ammesso al V° corso speciale per Ufficiali di complemento del Genio. Promosso Sottotenente il 27 aprile 1919, terminò il servizio di prima nomina il 13 gennaio 1920 e, non essendovi la possibilità di transitare nel servizio permanente effettivo, si congedò e riprese gli studi al Politecnico di Torino, laureandosi il 29 luglio 1923 con il massimo dei voti e con la lode.

Nonostante avesse un impiego presso una ditta di Genova, il nostro partigiano era soldato sia per tradizione familiare (padre ufficiale degli alpini) sia per vocazione e pertanto decise di rientrare in servizio, superando il concorso per la nomina a tenente con anzianità 18 dicembre 1924. Nel grado di subalterno, considerata la preparazione professionale e l’originalità di pensiero, pubblicò per agevolare gli interventi del genio militare i seguenti validi studi: svuotamento di laghi artificiali, costruzioni iperstatiche e calcoli per i ponti galleggianti.

Promosso capitano con anzianità 1° gennaio 1928 e, dopo aver svolto il comando di compagnia nel reggimento ferrovieri, frequentò dal 1930 al 1933 il 60° corso presso la Scuola di Guerra di Torino classificandosi 1° su 71 frequentatori. Assegnato come ufficiale di Stato maggiore al Comando del Corpo d’Armata di Torino, riuscì a conciliare il lavoro quotidiano con la stesura di un valido studio sulla costruzione di travate continue a cerniera con materiale Kohn (utilizzate per la costruzione di ponti ferroviari). In tale periodo fece risaltare eccellenti qualità sia come comandante di uomini sia come costruttore di infrastrutture militari. Successivamente, assegnato allo Stato Maggiore dell’Esercito, si occupò dell’aspetto logistico per la campagna di Etiopia, evidenziando eccelse capacità di coordinamento.

Nel marzo del 1936 Montezemolo fu promosso maggiore a scelta e nominato comandante di un battaglione del 1° reggimento genio ferrovieri. Nel gennaio del 1937, considerata la sua poliedrica preparazione, lo Stato Maggiore dell’Esercito lo inviò in Eritrea per il collaudo delle rotabili Asmara-Massaua e Nefasi-Decamerè, dove ottenne eccellenti risultati. Rientrato in Italia per un breve periodo, il 13 settembre 1937 partì per la Spagna come Capo di SM della Brigata “Frecce nere”, distinguendosi sia per le capacità organizzative sia per il coraggio con cui si esponeva al fuoco nemico ogni qualvolta necessario per rendersi conto degli avvenimenti. A seguito della sua eccellente condotta in tale contesto, fu promosso Tenente Colonnello per merito di guerra e ricevette una croce di guerra al valor militare.

Il 4 giugno 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra, Montezemolo fu trasferito al Comando Supremo con l’incarico inizialmente di capo sezione dell’esercito e, successivamente, per l’ingegno, la preparazione ed il carattere (assolutamente eccezionali), divenne capo dello scacchiere Africa e infine capo ufficio operazioni (nonostante il suo grado di tenente colonnello, il generale più anziano e di più chiara fama non si sentiva affatto sminuito se gli chiedeva un parere). Tutti i capi dello Stato Maggiore Generale che si alternarono al Comando Supremo, da Badoglio a Cavallero ad Ambrosio, ritennero di non potersi privare della competenza e dell’acume militare di Montezemolo, nonostante le sue insistenti richieste di essere destinato ad unità combattenti. Comunque nella sua permanenza all’alto comando, non rinunciò a rendersi conto di persona delle situazioni sempre più disastrose in cui erano coinvolte le unità italiane, recandosi per ben sedici volte nel Teatro operativo del Nord Africa.

Promosso colonnello il 1° maggio 1943, Montezemolo fu insignito della croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia per il suo eccelso operato svolto al Comando Supremo. Il 27 luglio 1943 il nuovo capo del governo Badoglio lo volle a capo della sua segreteria particolare, ma tale incarico non era gradito al nostro soldato partigiano, che il 16 agosto finalmente assunse il comando dell’11° raggruppamento genio motorizzato, un reparto in via di formazione dislocato nella zona di Roma. Ben consapevole che la guerra era irrimediabilmente perduta, alla luce dell’esperienza maturata allo Stato Maggiore Generale in cui aveva partecipato a tutti i vertici italo-tedeschi, si dedicò ugualmente e con grande entusiasmo sia all’addestramento sia all’amalgama dei soldati alle sue dipendenze.

Autoblindo italiana colpita da un controcarro tedesco

L’8 settembre, dopo la proclamazione dell’armistizio, i tedeschi mirarono subito a neutralizzare i validi contingenti di truppe italiane presenti nella zona di Roma. Infatti, dopo sporadici combattimenti, si verificò che: la divisione Piave respinse l’attacco di unità paracadutisti nei pressi di Monterotondo; la divisione Ariete ingaggiò un duro combattimento contro la 3° divisione corazzata tedesca nella zona Monterosi-Bracciano; la divisione Granatieri di Sardegna si oppose, tra la Magliana e Porta San Paolo, alla Divisione paracadutista tedesca proveniente da Ostia.

La mancanza sia di ordini inequivocabili sia della presenza di un comandante energico e convinto (il Generale di Corpo d’Armata Giacomo Carboni, Comandante della Difesa di Roma, si era allontanato da Roma senza mantenere i collegamenti con le divisioni dipendenti impegnate in combattimento) determinò un’incertezza tra le unità. Alle 17.00 del 9 settembre iniziarono le trattive fra i tedeschi e gli italiani sulla consegna delle armi da parte di quest’ultimi. Tali negoziati furono condotti dal Generale Calvi di Bergolo (Ufficiale più anziano presente in zona), insieme al Colonnello Montezemolo (precedentemente schierato con il suo reparto a Tivoli) e il Tenente Colonnello Giacalone. L’accordo, firmato alle 16.00 del 10 settembre, prevedeva la dichiarazione di Roma “città aperta” (senza comandi o reparti militari tedeschi) ed il mantenimento formale di Roma sotto autorità italiana, affiancata da un comandante tedesco, con l’unico presidio della Divisione Piave, priva delle artiglierie. La sicurezza e l’ordine pubblico all’interno della città sarebbero stati assicurati da 9.000 carabinieri, 2600 finanzieri e 1300 uomini della Polizia Africa Italiana.

Fototessera falsificata

Il Colonnello Montezemolo, conosciuto in tutto il mondo militare per le sue qualità eccelse, fu chiamato a reggere l’ufficio affari civili del Comando “Città Aperta”, evidenziando in un’attività totalmente nuova grande capacità organizzativa ed estrema decisione. Predispose il comunicato che sdegnosamente rifiutava la consegna di seimila ostaggi, richiesti dai Tedeschi in quei giorni. Il comando tedesco rinunciò alla loro sconsiderata pretesa anche perché il Generale Calvi di Bergolo, Comandante della Città Aperta di Roma, comunicò ai cittadini di Roma che si sarebbe presentato come primo ostaggio e, allo stesso tempo, chiedeva ad altri 5999 romani di seguirlo. Il neo Comando italiano costituito durò solo 13 giorni. Il 23 settembre, con gesto proditorio, i Tedeschi disarmarono i reparti militari italiani che presidiavano la città e circondarono il Ministero della Guerra, catturando l’alto Ufficiale. 

Montezemolo, in accordo con il suo superiore, vestì rapidamente un abito borghese e uscì inosservato dall’edificio: si diede alla clandestinità, assumendo con documenti falsificati l’identità dell’ingegnere Giacomo Cataratto.

L’ATTIVITÀ CLANDESTINA

Montezemolo era un soldato e non ebbe incertezze: comprese immediatamente che soltanto una decisa azione contro l’occupante tedesco avrebbe potuto restituire all’esercito la dignità compromessa dall’armistizio e si dedicò all’organizzazione della resistenza con estrema determinazione, prefiggendosi un duplice compito: alimentare la voglia di riscatto in tutti coloro che volevano imprescindibilmente  rimanere fedeli all’Italia e informare, per quanto possibile, il resto delle Forze Armate dislocato al sud, in merito quanto accadeva a Roma e nel resto del territorio occupato.

Il fenomeno della Resistenza a Roma, come nel resto dell’Italia, era già nato e aveva avuto inizio la sera stessa dell’8 settembre 1943, principalmente ad opera degli ufficiali e militari sottrattisi al disarmo e alla cattura, ai quali si unirono progressivamente civili di ogni età e di ogni condizione sociale, esclusivamente animati da un sentimento di ribellione contro gli invasori. Tale movimento avrebbe avuto qualche probabilità di successo soltanto se fosse riuscito a crescere, amalgamare le varie componenti, ad indirizzare i singoli sforzi verso un obiettivo comune e definito. Il partigiano Montezemolo, resosi conto della situazione, partecipò con fervido entusiasmo e con grande senso del dovere a organizzare il Fronte Clandestino Militare della Resistenza (F.C.M.R.) di Roma a partire dal 23 settembre che raccolse personale dell’esercito e progressivamente appartenenti alle altre Forze Armate.

Successivamente, grazie al prestigio indiscusso di Montezemolo, il F.C.M.R. divenne l’organo di coordinamento di numerose bande sia urbane che esterne: le prime, collegate con le organizzazioni dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, svolsero nell’ambito cittadino compiti di carattere prevalentemente difensivo ed informativo; le seconde, inquadrate nei raggruppamenti: “Monte Soratte” (tra cui la banda “Bieda”, comandata dal nostro concittadino Fernando Barbaranelli, operante nella zona di Sutri, che ebbe fra i caduti l’aviere Andrea Salis e il carabiniere Pietro Della Malva), “Castelli”, “Amiata” e “Gran Sasso”, svolsero un’attività particolarmente aggressiva, audace e spericolata nel Lazio e sulle montagne dell’Abruzzo. Inoltre, a partire dall’8 settembre 1943 nella provincia di Viterbo il Capitano medico Manlio Gelsomini (trucidato alle Fosse Ardeatine) organizzò nuclei di resistenza armata, dotandoli di materiali esplosivi salvati da militari dell’esercito, ovvero sottratti ai tedeschi. Tra tali formazioni partigiane, si annoverano la banda del civitavecchiese Fernando Biferari (operante nella stessa Viterbo e provincia) e quella dei comunisti civitavecchiesi Ezio Maroncelli e Antonio Morra che agiva da Maccarese fino a Tarquinia e, nell’interno, a Tolfa e Allumiere, non disdegnando frequenti puntate anche sulla Cassia e sulla via Braccianese. In quest’ultima banda, i militari caduti in combattimento sono stati:  il Mar. capo Francesco Lai, il Serg. Luigi Russo, il fante Antonio Caddu e il Ten. Franco Casamassima (azione del 2 ottobre 1943 su Monte Cucco) e i Tenenti Mariano Nobili e Orsio Nobili, deceduti a Veiano il 7 giugno 1944.

Alcuni giorni dopo l’armistizio, il servizio dell’aeronautica era riuscito a stabilire un primo collegamento via radio tra Roma e Brindisi. Il 10 ottobre, un dispaccio radio proveniente dal Comando Supremo affidava allo stesso Montezemolo il compito di organizzare, dirigere ed estendere la lotta di liberazione a livello nazionale. Ai primi di novembre il problema delle bande esterne aveva raggiunto notevole importanza, pertanto l’Ufficiale in questione aveva stabilito contatti personali con le formazioni del Piemonte, Liguria e della Romagna e richiesto al Comando Supremo di favorire la costituzione di organizzazioni regionali che, una volta formate e collegate, sarebbero passate direttamente alle dirette dipendenze del Comando supremo. In breve tempo anche Lombardia e Marche entrarono nella stessa rete organizzativa.     

   Montezemolo capì l’importanza di creare amalgama tra militari e civili: i primi volevano combattere “senza colore”, i secondi diffidavano dei soldati. La soluzione fu così individuata: immettere bande di militari attivamente in quelle civili e conseguentemente in ogni regione il capo militare doveva essere appoggiato dal comitato dei partiti. I militari nella conduzione della lotta non intendevano coinvolgere la popolazione civile, mentre le formazioni politiche volevano invece condurre le operazioni secondo i canoni della guerra rivoluzionaria che mira al coinvolgimento della popolazione.

Al riguardo, il 10 dicembre 1943, furono emanate a tutte la unità partigiane le “Direttive per l’organizzazione e la condotta della guerriglia (Lettera 333/OP). In tale documento, elaborato da Montezemolo, assumeva preminente importanza la propaganda atta a mantenere nelle popolazioni spirito ostile e ostruzionistico verso il tedesco (compito dei partiti) mentre l’organizzazione della tutela dell’ordine pubblico è compito militare sia in previsione del momento della liberazione sia per l’eventualità che l’esercito germanico abbandoni improvvisamente il territorio italiano. Il partigiano Montezemolo non si occupò soltanto di problemi militari ma, alla luce della crescente attività dei partiti politici, fu costretto a fare da mediatore tra il Comitato di Liberazione Nazionale e il governo Badoglio.

Il 25 gennaio 1944 Montezemolo, su cui gravava una taglia, all’uscita da una riunione del Fronte Militare, fu arrestato e condotto in via Tasso: la cattura molto probabilmente fu dovuta ad un tradimento, in quanto il generale Armellini e il marchese Multedo, che avevano preso parte allo stesso incontro, riuscirono a lasciare l’edificio senza essere fermati. Sottoposto a deturpanti sevizie durante gli interrogatori, non rivelò nulla sulla sua organizzazione. Il Fronte Clandestino tentò inutilmente di organizzare l’evasione, ma il covo delle SS era troppo sorvegliato e così Montezemolo rimase alla mercé dei suoi aguzzini. Finì la sua vita alle Fosse Ardeatine, in cui si perpetrò un’inumana rappresaglia per l’uccisione di 32 tedeschi il giorno prima a via Rasella: i caduti in tale eccidio furono 335 di cui 68 appartenenti alle F.A..

Oggi, nelle ricorrenze sulla resistenza, si fa riferimento al concetto di fondo che tale insurrezione sia stata una pagina di storia autenticamente nazionale grazie al contributo di forze differenziate nelle loro ispirazioni ideologiche (dai cattolici ai comunisti, dai liberali di varie sfumature ai repubblicani storici, dagli anarchici ai socialisti ed agli azionisti) tutte unite a ridare al Paese la libertà politica.

In tale ottica la figura di Montezemolo non trova collocazione, in quanto fu soldato fino in fondo: estraneo a qualunque ideologia e a qualsiasi impegno politico. Fu mosso da altri sentimenti: l’amor di patria, l’attaccamento alla bandiera, il culto della tradizione, lo spirito di corpo, la dignità personale. In estrema sintesi, riuscì a essere fedele ad un antico precetto: perché la patria viva oggi si muore!

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