Riabilitazione dei militari italiani condannati alla fucilazione nel corso della prima Guerra Mondiale.

13 Giugno 2021
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di Carlo Luciani

Sfondamento a Caporetto e ritirata fino al Piave

L’abolizione della pena di morte

Durante la ritirata dopo la sconfitta di Caporetto, il 16 novembre 1917, furono affissi dei manifesti in un paese del Veneto che rendevano note alla popolazione le esecuzioni capitali di soldati rei di vari reati. Il testo era molto diretto e burocratico:

“Ho ordinato la fucilazione nella schiena a:

  • n.12 soldati per violenza in case abitate;
  • n.3 borghesi per saccheggio;
  • n.1 soldato per saccheggio ed uso di divisa da ufficiale con abuso del grado;
  • n.5 soldati per saccheggio e scassinamenti.

Le esecuzioni capitali sono state compiute quest’oggi.

Firmato: il Maggior Generale Ispettore A. Graziani”

Novant’ anni dopo veniva approvata la modifica dell’articolo 27 della Costituzione, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 236 del 10 ottobre 2007. Al quarto comma dell’articolo 27 della Costituzione le parole: «se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra» erano soppresse. Con tale riforma fu introdotto il divieto assoluto di utilizzare la pena di morte nell’ordinamento penale. Si poneva così fine, definitivamente, alla triste prassi in atto nell’esercito italiano di ricorrere alla pena capitale mediante fucilazione per i reati più gravi contemplati dai codici militari e dal regolamento di disciplina.

Il codice penale militare del 1860

Il codice penale militare del 1860 che si rifaceva al codice voluto da Carlo Alberto nel 1840, forniva gli strumenti per ottenere una rigida disciplina e dava al Comandanti poteri tali da determinare il destino dei sottoposti.

L’art. 114 recitava “ sono considerati rei di rivolta i militari che, in numero di quattro o più, rifiuteranno di ubbidire alla prima intimazione dei loro superiori….Gli agenti principali saranno puniti colla pena di morte.”; l’ art. 125 “ Il militare colpevole di vie di fatto contro un superiore  in grado o nel comando sarà punito di morte”; l’art 137 “Il militare che passerà al nemico, o che si assenterà dalle file senza permesso in presenza del nemico, sarà immediatamente considerato disertore e punito di morte”. Questi sono solo alcuni articoli che prevedevano la fucilazione.

Il regolamento di disciplina, adottato dal nascente esercito italiano descriveva all’articolo 205 – Della morte col mezzo della fucilazione al petto – in modo dettagliato tutte le modalità ed i tempi che dovevano essere seguiti per l’attuazione dell’esecuzione: “…all’esecuzione assisterà un distaccamento armato di ogni Corpo componente la guarnigione…Fra i distaccamenti vi sarà sempre un battaglione con bandiera somministrato dal Corpo cui appartiene il condannato. Sarà comandato per l’esecuzione un drappello di un sergente, un caporale e 16 soldati. Schierata la truppa, l’ufficiale che la comanda la fa formare in quadrato con un lato aperto; fa battere il tamburo, portare le armi in parata e legge ad alta voce la sentenza. Fa quindi avanzare il paziente condotto da drappello che lo avrà scortato dalla prigione e lo fa sedere di fronte alla truppa e gli si bendano gli occhi..”. A questo punto veniva precisato chi benda il condannato: “se ufficiale dal furiere maggiore più anziano del Corpo, a meno che non ci sia un parigrado volontario, se sottufficiale o soldato da un parigrado scelto dal condannato o destinato d’autorità”. La parte finale dell’articolo scandiva gli ultimi momenti di vita del condannato e l’esecuzione della fucilazione.

In trincea

Le fucilazioni durante la I Guerra mondiale

Durante la Grande Guerra era ancora in vigore il Codice Penale militare del 1860 con poche e marginali modifiche apportate nel 1870, pertanto furono utilizzati gli strumenti che esso forniva e conseguentemente furono eseguite parecchie condanne a morte ponendo l’esercito italiano tra i primi per la durezza dei provvedimenti disciplinari e per le esecuzioni capitali mediante fucilazione. Il generale Cadorna che, come noto, considerava il soldato italiano poco affidabile e propenso ad imboscarsi e che riteneva il disfattismo molto diffuso tra le truppe fece emanare già il 28 settembre 1915 una circolare che imponeva una “giustizia ferrea”, in sintesi il Generalissimo voleva da parte dei Comandanti a tutti i livelli un controllo scrupoloso e così disponeva di passare immediatamente per le armi i recalcitranti ed i vigliacchi. Con questa disposizione si dava più ampi poteri agli ufficiali in fatto di giustizia sommaria e ne giustificava ed assolveva al tempo stesso l’operato in tal senso. E fu così che il primo ufficiale a guadagnarsi un encomio solenne per aver fatto fucilare 11 soldati applicando la giustizia sommaria, permessa agli ufficiali, fu il colonnello Attilio Thermes, comandante del 141° fanteria della brigata Catanzaro. L’accusa mossa agli 11 fanti fu quella di sbandamento durante uno dei giorni più difficili del tentativo di arginare la Strafe Expedition austriaca sugli Altipiani. Durante la Grande Guerra i tribunali militari istruirono [1] 100.000 procedimenti per renitenza, 340.000 contro militari alle armi, la maggioranza per diserzione e rifiuto di obbedienza. I fucilati dopo regolare processo furono 750; assai più numerosi i fucilati sul campo per un semplice ordine dei superiori. Ma l’adozione  di una disciplina così spietata denotava anche la fragilità che esisteva nei rapporti gerarchici nell’esercito italiano degli inizi del novecento, si era venuta a creare una contrapposizione di classe tra gli ufficiali provenienti da un ceto sociale benestante e la truppa composta da masse operaie e contadine, chiaramente questo determinò incomprensioni ed intolleranze reciproche che sfociarono spesso  in azioni disciplinari disumane, mancò inoltre l’azione di “mediazione” dei sottufficiali che non ebbero in tal senso un ruolo di rilievo.


[1] Breve Storia dell’Esercito italiano dal 1861 al 1943 – Rochat Massobrio – ed Enaudi

Le decimazioni

Il Generale Cadorna con la circolare riservata n. 2910 del 1 novembre 1916 rimarcava la giustezza della decimazione come mezzo punitivo collettivo infatti scriveva al riguardo: “ricordo che non vi è altro mezzo idoneo a reprimere reato collettivo che quello della immediata fucilazione dei maggiori responsabili, allorché l’accertamento dei responsabili non è possibile, rimane il diritto e il dovere ai comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e punirli con la pena di morte Questo in contrasto con il Codice Penale che non prevedeva decimazioni, ma solo fucilazioni sommarie in casi estremi e ben circoscritti. Carlo Pisacane, cinquant’anni prima, aveva ben scritto, con ironia, che la cosa più salda nell’esercito italiano era la disciplina. Ci furono casi paradossali quando pur di applicare la decimazione in un reparto furono inglobati nel conteggio i rimpiazzi arrivati dopo i fatti che avevano determinato il grave provvedimento disciplinare.

Il Codice Penale militare del 1941

Nel 1941 fu introdotto il nuovo codice penale militare che oltre ad assicurare maggiore giustizia dava più possibilità di commutare le pene in ergastolo. Durante la II Guerra Mondiale le esecuzioni capitali realmente eseguite nei confronti dei militari italiani furono all’incirca 50, poiché negli altri casi la pena fu commutata in ergastolo, questo dato evidenzia le differenze sostanziali in termini repressivi e disciplinari tra le due guerre. Inoltre, nel secondo conflitto non ci sono notizie di decimazioni ed esecuzioni sommarie. Un solo episodio fu particolarmente cruento, la condanna a morte di 28 militari accusati di resa al nemico e sbandamento nel fronte balcanico nell’isola di Braz nell’estate del ’43. Si trattò di una repressione collettiva attuata comunque da una regolare Corte marziale che operò molto rapidamente e con superficialità, tant’è che a guerra finita tutti i fucilati furono riabilitati. Dopo l’armistizio l’amministrazione della giustizia militare si divise tra i vari eserciti portando a difformità di trattamenti, solo con l’entrata in vigore della Costituzione si aprì una nuova fase che portò all’abolizione della pena di morte.

Conclusioni

Quest’anno la Commissione Difesa del Senato ha approvato la risoluzione presentata nel 2018 per riabilitare gli oltre 750 fucilati della Grande Guerra che ora va al Senato.

Tale risoluzione intende “promuovere ogni iniziativa volta al recupero della memoria di tali caduti, in particolare ogni più ampia iniziativa di ricerca storica volta alla ricostruzione delle drammatiche vicende del Primo conflitto mondiale con specifico riferimento ai tragici episodi dei militari condannati alla pena capitale”. Inoltre, prevede di:

– inserire nell’Albo d’oro del Commissariato generale per le onoranze ai caduti, i nomi dei militari fucilati;

– affliggere in un’ala del Vittoriano in Roma una targa in ricordo delle vittime della crudele giustizia sommaria.

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