NATALE DI SANGUE 1943 La fucilazione del pastore abruzzese Michele Del Greco. Lettera ai familiari prima della fucilazione.

21 Dicembre 2017
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 Mario Setta

Lettera autografa di Michele Del Greco

Lettera autografa di Michele Del Greco

Nella notte tra il 21 e 22 dicembre, a Badia di Sulmona, il parroco Don Vittorio D’Orazio fu svegliato dai soldati tedeschi quando ancora era buio e accompagnato nell’abbazia-carcere, nella cella del condannato Michele Del Greco. Rimasti soli, prete e detenuto si abbracciarono. Poco prima era stato detto al Del Greco che la domanda di grazia non era stata accolta. Don Vittorio D’Orazio ha ricordato quel momento con lucidità e commozione: non era facilmente distinguibile il colore del volto del condannato dal bianco del lenzuolo. Del Greco gli disse: «Sa perché mi ritrovo in questa situazione? Perché ho fatto quello che voi mi avete insegnato: dar da mangiare agli affamati». Fu fucilato subito dopo, nel cortile interno del carcere. Tra le sei e le sette del mattino. Era stato arrestato il 22 novembre. Processato e condannato a morte il 27 novembre.

Ad Anversa degli Abruzzi, suo paese natale, era stato affisso questo manifesto:

«Comune di Anversa degli Abruzzi.  Il tribunale militare tedesco ha condannato alla pena di morte Michele Del Greco, pastore di 47 anni, per aver dato asilo a circa 56 prigionieri inglesi, russi, francesi ed americani fuggiti dai campi di concentramento. 27 novembre 1943».

Successivamente, in data 20 luglio 1947, la Legione Territoriale dei Carabinieri, Compagnia di Sulmona, invia la seguente comunicazione alla Questura di L’Aquila:

«Il 22 novembre 1943, fu catturato dai tedeschi, per avere dato vitto ed alloggio a militari alleati evasi dal campo p. g. di Sulmona, Del Greco Michele fu Nunzio e fu Di Giusto Raffaela, nato ad Anversa il 9.6.1896, pastore. Processato dal tribunale militare tedesco in Sulmona, fu condannato a morte. La sentenza fu eseguita il 22.12.1943 in località ‘Abazia’ di Sulmona».

Prima di morire Michele Del Greco scrive questa lettera sincera e commovente, rimasta per tanti anni gelosamente conservata dalla figlia Antonietta, nata il 4.6.1930. La lettera è scritta con una matita copiativa sulle due facciate di un foglio staccato da un quaderno a quadretti. La riportiamo integralmente, ponendo tra parentesi la dizione corretta e qualche delucidazione. Data la quasi assenza di punteggiatura, i periodi sono stati separati da piccole barre.

«Mia compagna cara col mio Rasegno di (con la mia rassegnazione in) Dio. Carminucia (Carminuccia) aveva (avevamo) una bella famiglia di portarla (da portare avanti) col nome di Dio / il mio distino (destino) sono stato contannato (condannato) a morte / io vi benedico e mi dovete perdonare per qualche ribrovere (rimprovero). Portate la palma (Fatevi onore) e fate quello che vi dice vostra matre (madre), avete perso il patre (padre) io moro (muoio) perché o (ho) commesso (avuto la colpa) per aiuta (di aver aiutato) la povera gente / la vita mia vi (ve) la devono Pagare che quando è piantato (sarà formato) il governo fate ricorso che moro (muoio) per aiutare (aver aiutato) la gente / Cara Carminuccia  mi perdono (perdonami) se o (ho) fatto delle mancanze, pero (però) sono innocente che la notta (notte) mi e (è) venuta a trovare mia sorella Giuseppina (la sorella morta) e già mi a (ha) dato segno che mi veniva a prendere / e (è) riuscito il sogno che mi a (ha) fatto mia sorella, non fate lagnare Nessuno / quello che anno (hanno) fatto il contratto come le pecore vendetele lassate (lasciate)  un po (po’ ) per voi.

Dite a traficando (Trafficante) per suo figlio di farcelo stare (farlo restare a lavorare) fino sara (finché sarà) più grando (grande) Nunzio (il figlio di 11 anni) e pagatelo bene. parlate col compare della torre (Torre dei  Nolfi) per ammettere (vendere) un po (po’)  di pecore ed anche un po (po’)  di capre, parlate anche con minco di turco (Domenico Di Turco) / le vaccine mantenetele per uso di famiglia così non guardate a gliartri (agli altri). Non fate il torto a mio Patre (padre) che (perché) è peccato che (perché) io non posso consolarmi che (perché) non posso rivede (rivederlo) lultimavolta (l’ultima volta) / il tristo distino (destino) così avra (avrà) voluto Dio.  Raccomandatemi a tutto (tutti) i Santi a la (alla) madonna della libera (Madonna) che la tenco (tengo) sempre al cuore cara. Carminuccia mi consolo (che) pure ti o (ho) visto l’ultima volta mi portavi (hai portato) tutti 4 i miei figli giusto per dargli un bacio / i (io) comando lo stesso sopra questa carta / bacio mia moglie uniti con i nostri figli, figli cari sto chiuso dentro una stanza senza una goccia daqqua (d’acqua) / figlio Nunzio fate il buono fate quel che ti dice tua matre (madre) che non credevo di lasciarti così subito. Saluto mia sorella Francesca mio cugino Pietro e famiglia, le vostre sorelle e famiglia, volete (vogliate bene) anche la (a) vostra madre / Cesso di scrivere / ti sono stato sempre fedele tuo marito Michele Del Greco.»

(Sotto la firma è disegnato un piccolo segno di croce).

Un’altra figlia di Michele Del Greco, Raffaella, ha ricostruito quei giorni dolorosi, nel libro dal titolo Quei lunghi trenta giorni. In precedenza, esattamente il 20 ottobre 1943, alle ore 8 del mattino, davanti al muro del cimitero di Sulmona, erano state fucilate quattro persone: i due fratelli Giuseppe e Antonio D’Eliseo di Roccacasale, il loro nipote Antonio Taddei e l’amico Giuseppe De Simone di Pratola Peligna. Di questo assassinio, lo storico inglese Roger Absalom scrive: «la prima occasione in cui dei civili italiani vennero passati per le armi con la specifica accusa di aver “aiutato e favorito” dei fuggiaschi.»  (Cfr. “E si divisero il pane che non c’era” a cura di Rosalba Borri, Luisa Fabiilli e Mario Setta; “Terra di Libertà, storie di uomini e donne nell’Abruzzo della seconda guerra mondiale” a cura di Maria Rosaria La Morgia e Mario Setta).

 

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