L’AQUILA 3 ANNI DOPO

9 Ottobre 2011
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Tre anni dopo

Passeggio per il Corso e sotto i Portici come spesso mi capita, in una bellissima mattina di ottobre. Incontro persone, volti conosciuti dei soliti “habitués” dello struscio ma anche tanti
forestieri: li riconosco dall’accento, moltissimi laziali, altri del Nord.
Ciò che li contraddistingue è la macchinetta fotografica, anzi i cellulari, ormai la macchinetta fotografica è desueta… Comunque, non perdono occasione per soffermarsi qua e là e manifestare il loro stupore imprigionando con un clic quello che già hanno registrato con gli occhi.
Mi sovviene la frase di una mia amica di qualche tempo fa (d’altronde sono già passati quasi tre anni…): L’Aquila come Pompei. Mi fece male sentirlo dire: ci vivo e non mi piace pensare di vivere in un cimitero all’aria aperta; eppure, forse non è né sbagliato né infondato. La gente viene a vedere, fotografa e si fa immortalare anche sotto i tubi innocenti, forse per poi
raccontare agli amici rimasti a casa. Raccontare cosa? Cosa hanno visto, cosa può la Natura e cosa non fanno gli uomini, chissà!
Anch’io registro, ma con le orecchie. Colgo frasi smozzicate, sfiorando di passaggio ora quel gruppo ora l’altro e spesso mi addoloro. A distanza di tre anni, tante considerazioni e tante impressioni mi feriscono più di ieri. Guardo Via Sallustio: mi vengono le lacrime agli occhi pensando all’ultima volta in cui ci passai. Eppure, ci passavo spesso… Quando tornerò a camminarci per arrivare fino a Chiassetto degli Ortolani e ritorno? Quanto tempo dovrà trascorrere? O forse resterà così per sempre, novella Pompei, ad imperituro ricordo di quello che, d’ora in poi, bisognerà evitare che accada di nuovo? Eppure, i giovani sono tornati a popolare il centro storico se non altro di notte. I giovedì si radunano appena inizia a calare il sole e si riversano a frotte lungo il Corso per trascorrere la nottata.  Il problema sono gli atti di teppismo riferiti sui quotidiani immancabilmente il giorno dopo. Si direbbe che, quasi come reazione, l’impulso è quello di finire di rompere ciò che è traballante ma continua a stare in piedi…
E’ difficile, più che difficile dare spiegazioni, ma soprattutto trovare soluzioni. Il quotidiano ti avvolge con le sue numerose spire e non ti dà il tempo di riflettere, ma appena ti fermi a riflettere… forse è meglio tornare ad affannarsi! Nonostante la voglia dei giovani di riappropriarsi della Città, i luoghi di ritrovo sono ormai altri: i supermercati, le palestre (dove si sarà ricollocata quella in cui andavo da anni?), l’Aquilone…  Un centro commerciale al chiuso all’Aquila: mai, avremmo detto a gran voce! Noi abituati a girare per negozi con il freddo e la neve, a rifugiarci sotto ai Portici se pioveva ed eravamo senza ombrello – ma l’ombrello chi lo portava? Tanto, ci sono i Portici….
Mi manca fare i regali di Natale  al freddo: è così anonimo girare per i negozi con il cappotto in mano e con  l’aria climatizzata mentre fuori la temperatura è sotto zero! Mi manca e mi mancherà, tanto più  non poterlo spiegare ai nipoti, troppo piccoli all’epoca dell’Evento per  ricordare cose del passato: gli odori e i sapori, gli amori fatti di sguardi  sbocciati per il Corso, il perdersi nei vicoli alla luce del tramonto. Eppure, mia nipote, saggiamente,  mi fa notare che lo sforzo sta nel prendere sempre il bello di tutte le cose: “il  terremoto, zia, mi ha salvato dall’interrogazione di Storia per la quale non  ero preparata!”.

Francesca Bocchi

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