Il cammino dell’Abruzzo verso l’Unità

25 Maggio 2011
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Il viaggio verso l’Unità in Abruzzo dura quaranta anni, ed ha una data d’inizio precisa: sette marzo 1821, come troviamo scritto poco prima di Antrodoco, su un cartello turistico posto lungo la strada statale che da L’Aquila porta a Rieti. Ci troviamo nel Regno delle Due Sicilie (il più esteso stato italiano), quasi ai confini con lo Stato della Chiesa, nell’Abruzzo Ulteriore Secondo, con capoluogo Aquila (l’articolo determinativo sarà aggiunto con il fascismo); le altre divisioni erano l’Abruzzo Ulteriore Primo (con capoluogo Teramo) e l’Abruzzo Citeriore (capoluogo Chieti). In quel sette marzo si affrontarono nelle gole di Antrodoco le truppe al comando del generale calabrese Guglielmo Pepe, definito dal De Sanctis ‖Padre della Rivoluzione italiana‖, che difen-deva la rivoluzione napoletana del 1820, e le milizie austriache del generale Johann Maria Philipp Frimont, chiamate da Ferdinando I, costretto un anno prima a concedere la costitu-zione, ma pronto a rimangiarsi la parola e ad instaurare un regime reazionario. Allo scontro si era arrivati dopo pro

clami dalle due parti, che invitavano da un lato il popolo alla difesa della libertà, e dall’altro lo minacciavano di dure repressioni. Lo stesso Pepe aveva scritto un inno di guerra. Le truppe rivoluzionarie vennero sconfitte, e la repressione fu durissi-ma, ma questo non impedì la diffusione nella regione degli ideali di libertà.Come nel resto d’Italia, anche in Abruzzo erano presenti carbonari e liberali, costretti ad agire nella clandestinità, già protagonisti di rivolte come quella di Pescara del 1814, o quella di Napoli del 1820. I carbonari utilizza-vano codici di riconoscimento e rituali segreti, e diffondevano gli ideali di libertà con biglietti che ai nostri occhi appaiono ingenui, ma che rendono testimonianza di quale fosse il clima repressivo dell’epoca. Intorno al 1830-31, in coincidenza con la fondazione della ―Giovine Italia‖ di Mazzini, anche in Abruzzo, pur se in misura minore rispetto ad altre aree, si tentarono sollevazioni. In questa fase si distinsero tra gli altri perso-naggi come i pennesi Nicola e Domenico De Caesaris (già protagonista della sommossa di Città S.Angelo del 1814, e comandante del presidio di Penne nel 1820), gli aquilani Gia-como Dragonetti e Pietro Marrelli , il sulmo-nese Panfilo Serafini. Le pagine più eclatanti delle rivolte abruzzesi si ebbero a partire dal 1837, quando, occasionali epidemie di colera, scoppiate nel regno delle Due Sicilie, furono sfruttate dai liberali come occasione di som-mossa, accusando il governo di avere diffuso ad arte la pestilenza, o quanto meno di non averla saputa combattere. La plebe appoggiò questi moti. A Penne il 23 luglio 1837 un gruppo di patrioti (tra i quali Filippo Forcella e Raffaele Castiglioni) si impadronì della caserma e delle armi incitando la città alla sollevazione, a cui aderirono anche Farindola,Moscufo, Cappelle e Spoltore. Contro i rivol-tosi mossero diverse compagnie comandate da Gennaro Tanfano il quale riuscì a occupare la città, arrestando decine di rivoltosi e costrin-gendone diversi altri alla fuga. Il processo che ne seguì si concluse con varie condanne al carcere e nove a morte, eseguite nella piazza della cittadella di Teramo il 21 settembre. La vendetta contro Tanfano non si fece attendere molto: quattro anni.

Nel 1841, l’otto settembre, fu la volta dell’Aquila a sollevarsi, in coincidenza con la festa di Piedigrotta. Alle ventidue vennero accoltellati a morte il colon-nello Tanfano, comandante della piazza, e il suo attendente Scannella. I rivoltosi, capeggia-ti dallo stesso sindaco, il barone Ciampella, da Marrelli, da nobili quali Luigi Falconi, Luigi Dragonetti, Giuseppe Cappa, occuparono dapprima porta Rivera poi iniziaronoIn seguito ai fatti di Palermo, l’undici febbraio 1848 re Ferdinando II fu costretto a concedere la Costituzione. Tornarono dall’esilio i vecchi rivoluzionari del ’37: Domenico De Caesaris, Salvatore Tommasi e Francesco De Blasis furono eletti rappresentanti abruzzesi nel nuo-vo parlamento. Scoppiarono rivolte in tutta Italia, tra cui quel-le di Milano e di Venezia: iniziò la prima guerra d’indipendenza. La risposta reazionaria borbonica non si fece attendere: Ferdinando ripristinò l’assolutismo, represse i moti, so-spese il parlamento, cancellò la costituzione. Ad Aquila con l’intendente Mariano d’Ayala, aperto alle idee liberali, si tentò inutilmente di organizzare un’altra insurrezione, così come a Teramo: protagonisti tra i quali Marrelli, Fa-bio Cannella, Giuseppe Pica, Luigi Dragonet-ti, Luigi Spaventa e lo stesso D’Ayala, furono costretti all’esilio o arrestati e incarcerati a Procida, Pozzuoli, Pescara, dove i prigionieri tentarono invano una rivolta nel febbraio 1853, anno in cui salì al trono Francesco II. Da quell’anno, in cui scoppiò anche la guerra di Crimea, non vi furono episodi particolari in Abruzzo. La scintilla finalmente si riaccese nel 1860 con la notizia della spedizione di Garibaldi e dei mille, fra cui vi era un abruzzese, Pietro Baiocchi di Atri, morto in combattimento a Palermo nel mese di giugno. Francesco II inutilmente il 25 giugno ripristinò la costitu-zione del ’48; in Abruzzo i patrioti, evasi dalle galere o ritornati dall’esilio, si organizzarono per l’azione. Clemente De Caesaris ebbe l’incarico come prodittatore di Garibaldi per le province d’Abruzzo; catturato e rinchiuso nel carcere di Pescara, venne liberato su inter-vento diretto di Garibaldi che telegrafò: ―Guai a chi lo tocca. Spedisco un’armata sulle ali‖, ed inviò due navi che si ancorarono al largo di Pescara. Liberato, De Caesaris costrinse alla resa il forte e proclamò il governo provviso-rio. La mattina dell’otto settembre da Napoli giunse un telegramma:‖Il Dittatore Garibaldi è giunto in Napoli alla mezza tra lo entusiasmo generale di tutta la popolazione. Tutto è festa e tranquillità‖. La notizia ebbe immediate ripercussioni: ad Aquila venne dichiarato decaduto il governo borbonico e fu costituito un governo provviso-rio con un triumvirato composto dall’intendente Federico Papa, dal sindaco Fabio Cannella e da Angelo Pellegrini. Lo stesso avvenne in altre località della regione, dove la guardia nazionale si mise sotto le armi e al posto dello stemma borbonico apparve quello sabaudo. Il 25 settembre una delegazione si recò nelle Marche dai generali Fanti e Cialdini per sol-lecitare l’intervento delle truppe sardo-piemontesi, anticipando l’arrivo di Vittorio Emanuele II che partì da Torino verso Ancona il 29. Il cinque ottobre una deputazione, guidata da Salvatore Tommasi si incontrò col re, portan-do anche i risultati del plebiscito per convin-cerlo a varcare il confine, posto lungo il Tron-to. La mattina del 15 ottobre il re sabaudo attraversò il confine nei pressi di Martinsicu-ro, per raggiungere Garibaldi il quale prose-guiva la conquista della Campania, dopo avere messo in fuga Francesco II, rifugiato a Gaeta. Nello stesso giorno il maggiore Luigi Ascio-ne, comandante della guarnigione di stanza nella fortezza di Civitella del Tronto, dichiara-va lo stato d’assedio. La fortezza resistette fino al 20 marzo 1861, dopo terrificanti bombardamenti. Molti difen-sori dell’ultimo baluardo borbonico furono deportati nelle carceri piemontesi di Savona e Fenestrelle da dove non fecero più ritorno. Le fortezze di Civitella e di Pescara vennero poi distrutte

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